domenica 30 dicembre 2012

Una fiaba dal Natale alla Befana: Sul fondale (2)


Riassunto della puntata precedente: 
Pietro Specifico è un ragazzino magrolino, basso e curvo che sorride quando sta annegando. Il problema è che gli capita spesso, essendo il suo corpo per natura incapace di galleggiare. La puntata se la volete leggere la trovate qui. Ora riprendiamo da dove eravamo rimasti... 

Il mare visto dalla finestra dell'aula, in maggio, alla terza ora, quando aspetti la ricreazione... credo che sia un magone che solo chi ci è nato vicino potrà capirlo bene, ma proviamoci. Il mare visto dalla finestra dell'aula, mentre il sole sbirluccica e colora le onde e ti rimbalza sul banco e ti abbaglia il foglio... riproviamo. Il mare visto dalla finestra, con l'aria tersa, gli uccellini in volo, le coppiette felici che passeggiano mano nella mano ti fanno pensare al paradiso. Al paradiso sceso finalmente sulla terra. O meglio. Il mare visto dalla finestra dell'aula col sole che sbirluccica, gli uccellini che volano e le coppiette che si baciano mentre la prof. di algebra dice flemmatica  "Adesso interroghiamo. A caso." ti fa certamente capire che paradiso e inferno non solo possono coesistere ma che sono divisi da una guaina minuscola, esile. Un sottilissimo centimetro di vetro, della finestra dell'aula di un giorno di sole al mare.

E quel mare, prima che finisca la scuola, Pietro lo vuole andare a ritrovare. Da solo però. Che gli altri non vogliono venire con lui, senza accompagnatori. I suoi compagni infatti dicono E se poi affondi Pilone? Nessuno di noi riesce a ritirarti su, neanche Costamagno che è campione regionale di lancio della caciotta. 
Pilone è il nomignolo affettuoso con cui i suoi compagni hanno preso a chiamarlo. Carini.
Pietro Pilone però non demorde. Da qualche parte, un cartone animato, un documentario su Jaques Costeau, o un'idea di suo padre, non si ricorda bene, ha trovato un modo per andare fino a giù e scoprire come fare a smettere di affondare.
La soluzione è semplice quanto economica. 
La preparazione però richiede precisione, sangue freddo e fiato.
Cento palloncini extraresistenti. Svariati tubi di gomma per dare l'acqua in giardino (Nettuno benedica le ringhiere basse delle villette a schiera). Nastro isolante. Pinne. Maschera e Boccaglio. Carrettino per il trasporto del succitato materiale. N.B. I palloncini devono essere già gonfi a) per evitare di perdere tempo prezioso giunti sulla spiaggia b) per occultare come Ulisse i tubi di gomma sotto gli sguardi polifemici dei vicini giardinieri-in questo momento davvero-mancati.

La prossima volta, se ci sarà una prossima volta, si porterà la slitta da neve, che solcare la spiaggia con il carrettino, sembra facile, ma non è. Istintivamente ha scelto un punto non visibile dalla sua finestra della sua aula della sua scuola. Tutto questo possesso lo stanca. Il luogo prescelto è un piccolo agglomerato di scogli e rocce con alle spalle dei terrapieni artificiali, spianati e innalzati a suon di ruspe e bulldozer per un ristorante a picco sul mare che la crisi rimanda e che ormai vive solo nei sogni di Ciro il poeta pizzaiolo. I tubi sono stati uniti uno all'altro e l'ultimo o il primo, scegliete voi, è stato otturato dal boccaglio. Nastro isolante ad libitum e con abbondanza nei punti critici. I palloncini sono stati distanziati col calcolo geometrico: più sono vicini a Pietro e meno sono, più sono lontani e più si raggruppano. Aveva pure pensato a una boa, poi però ha immaginato il rumore e la confusione che avrebbe fatto e ha deciso di lasciarlo a casa, Hector, il persiano castrato di nove chili che ciondola per casa di Victor Ugo Malinconico.

Tutto è pronto. Pietro "Pilone" Specifico, indossate pinne, maschera e boccaglio, comincia la sua lenta discesa verso l'abisso. L'acqua non è proprio limpidissima. Però è già un brodo. Una piccola scia multicolore, moderno filo d'Arianna si srotola e segue Pietro che, giovanissimo Teseo senza Minotauro, s'immerge nel labirinto più grande del mondo.  
Pietro cammina sul fondo sabbioso e osserva le alghe danzare al ritmo di una musica invisibile. Il mare comincia ad accumularsi sopra la sua testa e i rumori che sente non riesce più a distinguerli tra fuori e dentro di sé.  Il sangue di Pietro rimbomba e corre come mai l'aveva sentito prima. E fuori, oltre la pelle, l'acqua marina risponde e intona un canto che il sangue sembra conoscere da sempre, da quanto è vecchio il creato, e risponde. 
Una folata, una spinta, verso il centro, verso il fondo. Per un attimo, un momento brevissimo, il battito di una triglia, la corrente è sembrata in grado di farlo volare. Poi niente.

Deluso, Pietro si accinge a ripartire, ma subito una voce da lontano lo chiama. Sott'acqua.
"Ehiiiii! tu laggiùuuu! Vieni quaaa, aiutamiiii!"
Pietro si guarda intorno. Di nuovo una voce si alza più avanti, nel blu più scuro.
"Aiutamiii!"
Il primo pensiero è M'hanno scoperto! Il secondo La prof. di Algebra! Il terzo è No, sto diventando matto del tutto... e così, più per capire fin dove potesse spingersi il suo cervello nell'elaborare arditi miraggi che per reale curiosità, Pietro si dirige verso la fonte dell'allucinazione. Che scopre essere un gambero, anzi un gamberone per la precisione, bello rosso e cicciottello. Che sbuffa e tribola.
"Puff...pant, pant... Ooh, meno male che sei arrivato, dammi una mano, aiutami."
"Cosa?!"
"Aiutami ragazzino, animo dai!"
"Ma tu parli?"
"Sì ragazzino, parlo e se vuoi scrivo anche, guarda te lo scrivo anche sulla sabbia" e con la chela comincia a strisciare sulla sabbia "Egregio... come ti chiami?"
"Pietro."
"Pietro e poi?"
"Specifico"
"Egregio Signorino Pietro Specifico, sebbene non sia a conoscenza dei motivi che La portano a visitare le nostre lande, vorrebbe farmi la suprema cortesia di riportarmi indietro, in linea retta, verso la riva? Le sarei infinitamente riconoscente. Firmato Suo Angelo Rosso. È soddisfatto ora?"
"Sì... cioè, No."
"Allora! Sì o no? La vedo alquanto confuso Signorino Pietro. S'è per caso perso in un bicchiere d'acqua? Ahahahahah - Uhuhuhuhuh - mi perdoni Signorino ma a certe freddure io, non so resistere, me lo dicono tutti i totani, che se la prendono sempre, uhhh, sapesse quanto son permalosi i totani, e solo perché li chiamo tontanti... mpfff l'ha capita? TONtanTI! ahahahahha, dovrebbe vedere che facce mi fanno quando li chiamo così, ahahaha... però una volta uno m'ha augurato di finire nel fritto misto... non è stato proprio carino da parte sua... comunque, Signorino Pietro, C'ha riflettuto bene a modo? Se La sente di aiutarmi?"
Pietro, ormai certo di stare sognando, aspettando solo di sentire il rumore delle tapparelle di camera sua alzarsi fragorosamente da un momento all'altro, risponde "Certo Signor Angelo, mi dica pure, sono a sua disposizione: cosa devo fare?"
"Vede quei cespugli viola e marron alle nostre spalle, signorino?"
"Sì, signor Angelo."     
"Bene signorino, io lì voglio tornare."
Pietro è entrato nella parte ormai "Certo, vecchio mio, è questione di un minuto e siamo a destinazione." e si china a raccogliere il gambero.
"Oooh! Com'è ben gentile signorino Pietro" dice Angelo il gambero tutto bello soddisfatto.
"Ma è casa sua quella, signor Angelo?" e girando su se stesso fa per cominciare il breve cammino che separa i  nostri due eroi dalla loro meta.
"Ahhhh! Sciagurato! Pazzo! Che sta facendo?! Vuole forse farmi morire?! Vuole forse rendermi infelice a vita?!"
Pietro si raggela di colpo. "Cos'ho fatto, signor Angelo?" chiede stupito.
"Lei stava per camminare dritto, Messere, son pronto a scommetterci tutte le antenne e una chela! Una cosa che nessun gambero degno di questo nome ha mai fatto da quando Gaia c'ha messo a passeggiare su questa rena."
"Ma me l'ha chiesto Lei, Signor Angelo, di portarla là dietro, o sbaglio?" risponde Pietro sbigottito.
"Sì ma come tante cose nella vita non importa solo il dove ma anche il come, e lei stava per contravvenire alla nostra legge di natura riassumibile nel motto: Se indietreggio seguitemi! se avanzo uccidetemi! poi c'è anche Se mi ammazzano non prendete il camarones a la plancha, ma quello è un altro discorso..."
"E quindi?"
"Quindi se vorrà aiutarmi, signorino Pietro, lei dovrà percorrere all'indietro la distanza che ci manca da quei cespugli."
"Ma come faccio, se non riesco a vedere dove vado!"
"È la stessa cosa che le avrei detto io se avesse insistito nella sciagurata idea di andare in avanti, sempre se non morivo prima di crepacuori, signorino Pietro."
"D'accordo, camminerò all'indietro" risponde Pietro cominciando a pensare se ci saranno ancora per colazione i suoi biscotti preferiti "però Signor Angelo, mi avviserà lei quando saremo arrivati."
"Certo signorino Pietro, sarò attentissimo, glielo giuro."
Pietro indietreggia, come richiesto dal gamberone parlante, come un astronauta quando mandi indietro la velocità dei filmati e intanto di nuovo chiede: "Signor Angelo, non mi ha risposto, è casa sua quella?" 
"Ohibò signorino Pietro, quando ha ragione ha ragione. Quei cespugli sono casa mia e dei miei avi da almeno ventiquattro generazioni. Sa, non per vantarmi ma siamo i gamberoni più nobili di tutto il golfo."
"Complimenti."
"Grazie. Anche se in effetti Le confesso che questa è una storia che ci tramandiamo, nessun esperto di araldica ce l'ha mai confermata... ma sa com'è in queste faccende, chiedere una certificazione, andare fino in fondo, potrebbe darci una grossa delusione, mia moglie Shrimpley mi cadrebbe subito in depressione."
"Ma senza scomodare gli esperti, non avete mai chiesto qui in giro? Non siete mai andati a sentire dai vostri vicini?"
"Spostarci? Andare a fare visita? ohohohohoh Signorino Pietro, non ci fosse la corrente, che due volte ogni giorno ci porta avanti e indietro dalla casa, noi non vedremmo mai oltre i confini della nostra proprietà, e francamente non ne sentiamo nemmeno troppo il bisogno. Siamo troppo impegnati a sorvegliare i nostri possedimenti, i nostri trofei, i nostri cimeli, per badare ad altro... mi stupisco anzi che ci siano creature come voi che possono anche solo pensare di poter immaginare un futuro e avanzare verso di esso, senza una solidissima famiglia e montagne di averi alle spalle..."
"Non ricordo bene chi, ma a scuola ho letto che c'era un tale che bruciava le navi dei suoi soldati per obbligarli ad avanzare, a combattere."
"Non so chi fosse, sicuro non era un gambero, né un gamberone... forse era un calamaro, sa, sia detto tra noi, quelli sono un poco pazzerelli, eheheheh! Siamo arrivati signorino Pietro, La ringrazio ancora infinitamente."
"Si figuri signor Angelo, è stato un piacere!" E non capita tutti i giorni di parlare con la propria cena - pensa Pietro mentre saluta e riprende il tragitto verso il fondo del mare.

(fine della seconda parte)

mercoledì 26 dicembre 2012

Una fiaba dal Natale alla Befana: Sul fondale (1)

C'era una volta, e forse c'è ancora da qualche parte chissà, un bambino basso e curvo, mogio mogio ma molto dolce.
Il suo nome era Pietro Specifico ed era un tipo molto particolare, anche se lui questa cosa di esser particolare non lo voleva, diciamo che - come spesso dicono in questi casi - gli era toccato uno strano e misterioso superpotere: ogni volta che entrava nell'acqua, lui, se non si muoveva, piano piano, lentamente, affondava.
Nonostante non sia mai retrocesso dalla prima fila nelle foto di classe delle elementari e delle medie e anche se il fisico era asciutto e sottile come quello di un mimo, Pietro, inspiegabilmente, immerso nell'acqua, in barba al principio di Archimede, poco a poco, sprofondava, senza ragione.
I genitori, esimi scienziati, pertanto curiosi e molto perplessi, come la mamma di Achille, ma armati di cronometro e arpioni avevano provato in mille modi a capirci qualcosa o almeno trovare un liquido che fosse in grado di sostenere il peso inerte del loro unico figlio.
Con l'acqua di mare. No.
Con l'acqua di lago. Niente.
Di fiume. Nulla. Di ruscello. Nada. Di canale. Affatto.
Al battesimo, senza dirlo al prete, perfino con l'acqua santa. Nix.
Acqua del Mar Morto. Ci avevano creduto per mezzo secondo. Tutti e tre. Poi all'improvviso i piedi e le gambe andarono sotto così rapidamente da mettere Pietro in verticale che come un Titanic in miniatura riuscì a dire a mamma e papà: Non posso morire! devo ancora finire di leggere il fumetto che mi ha prestato Victor Ugo Malinconico! L'uomo lavastoviglie contro il suo acerrimo nemico, l'uomo calcare! ...Ma se muoio, non restituiteglielo!
All'ultimo tentativo il padre stava per gettarlo nel silos trasparente pieno di gelatina al lampone ma all'ultimo minuto ci ripensarono e decisero di sospendere il ciclo di esperimenti, con grande rammarico del pubblico che si era venuto a creare. Per non parlare degli scommettitori...

Ma purtroppo era così. A Pietro non bastavano braccioli, salvagente, gommoni e nemmeno tavolette di spugna: se non si muoveva Pietro andava a fondo, solo e triste come una bottiglia vuota. Per questo, ma anche perché gli piaceva, era imbattibile a nuotare. Nessuno nuotava meglio di lui, e pure a trattenere il fiato era davvero un campione: Pietro riusciva a stare senza respirare anche due minuti interi, se voleva.
L'aveva scoperto a quattro anni quando la mamma si era dimenticata di agganciarlo al bordo della vasca. Mentre cominciava inesorabile a scendere in fondo alla vasca, Pietro aveva chiuso gli occhi, preso una bella boccata d'aria e poi aveva iniziato a pensare, ma forte, forte forte - come quando non vuoi sentire altro che la tua voce mentre sei in mezzo a tante persone, come alle feste - Io sono un sasso, un sasso, un sasso e un sasso. Io sono un sasso, un sasso, un sasso e un sasso. Io sono un sasso, un sasso, e così via. E aveva funzionato. Intorno a lui, ora, c'erano solo pace e silenzio, come forse doveva essere stato il mondo prima che tutto iniziasse.
Sfortunatamente la mamma, entrata di corsa, tutta trafelata, non sentendo schizzi e rumori, trovandosi davanti solo una montagna di schiuma bianca e soffice, non la prese così bene, ma le mamme, si sa, si spaventano con poco. Pietro ricorda ancora con un sorriso la faccia allungata della mamma che ha visto da sott'acqua, buffa come una maschera, disperata come in un quadro famoso dove c'è un omino che passeggia su un ponte e poi si porta le mani sulla faccia e apre la bocca in un grido infinito. A Pietro sarebbe piaciuto quel disegno in camera, ma non sapeva dove comprarlo, e neppure mamma e papà al momento sapevano essere precisi al riguardo...

Ma c'erano delle volte in cui Pietro diventava triste, molto triste, quasi come il suo compagno di classe Victor Ugo Malinconico. Gli succedeva sempre quando a scuola guardava dalla finestra gli uccellini oppure quei branchi di nuvole bianche come pecore scorrere rapide nel cielo, o le navi con le vele tese e gonfie scivolare placide su quelle immense distese d'acqua che per lui sarebbero state sempre impossibili da attraversare.
O forse no?

(fine prima parte)

martedì 4 dicembre 2012

Noema - raccontino erotico


Questo racconto è dentro a questo numero speciale sul Porno (è gratis, potete consultarlo e scaricarlo qui), contenente i contributi sul tema delle più svariate realtà scrittorie in zona emillica e non, redatto e impaginato da dei matti che si fanno chiamare Mumble:, che tra le innumervoli cose che sono e fanno, organizzano cose incredibili in tempi di crisi come l'Indidee, un festival dedicato all'editoria indipendente in Italia, giunto alla sua terza edizione il mese scorso. Ringrazio nuovamente i mumblàr e poi... Enjoy.


Era un ottobre caldo e assolato di qualche anno fa, come quello di questi giorni in cui sto scrivendo. Stavo andando a Bologna, avevo da poco cominciato un corso di editoria e come esercizio dovevamo scegliere un libro già pubblicato da rivisitare come linea editoriale, grafica e promozione. Dovevo ancora decidere cosa portare. E su quel treno, salendo a Carpi, ho aperto Il Paese delle ultime cose di Paul Auster (Guanda, 1996) che comincia così:
“Queste sono le ultime cose, scriveva. A una a una esse scompaiono e non ritornano più. Posso raccontarti quelle che ho visto, quelle che non esistono più, ma temo di non averne il tempo.” 
E in tre frasi questo libro, almeno a me, ha dato tutto il senso della perdita, della fine e dell'incessante tentativo dell'umanità di registrare, salvare, porre un limite all'infinita dissoluzione del presente e del passato nel futuro vuoto.
Il libro, la narrazione, non è altro che una interminabile lettera di una ragazza, Anne Blume (i più curiosi possono scoprire che è un nome con dietro una non piccola storia letteraria), a un non ben specificato ragazzo, che inevitabilmente, nel vorticoso gioco del tu e dell'immedesimazione, finisci per essere il tu che leggi in quel momento quel terribile resoconto. Una Sherazade che ti racconta, momento dopo momento, a te lontano e perciò inutile sultano, come sta lottando contro la morte, giorno dopo giorno.

A pagina dodici, lo ricordo perfettamente, ero già completamente dentro la storia e insieme ad Anne vagavo per i meandri della metropoli in cerca di cibo, vestiti, cercando di tenermi alla larga da tutto e da tutti, cercando di sopravvivere in questo mondo dopo che l'Apocalisse era già scesa e aveva portato con sé quasi ogni traccia di vita. A pagina dodici infatti, ho rischiato di restare fermo sul treno arrivato a Modena e di non prendere il treno, l'altro, per Bologna. Un sorriso gentile, mascara marcato, occhi verdi, un piercing al centro del labro inferiore color pesco, sopracciglia rifatte, capelli lisci nerissimi, dita morbide, unghie dipinte di viola che si sospendono un millimetro sopra il polso, il mio.
Siamo arrivati.
Dice con voce dolce, come non volesse disturbare.
Non fosse per questa apparizione sconosciuta, sarei rimasto su quel treno fino alla fine del libro.
Ringrazio, leggermente confuso, le belle ragazze mi danno sempre questo effetto. Lei scende con un sorriso sulle labbra. In un attimo mi chiedo cosa si prova a baciare due labbra così, con quel minuscolo pezzo d'acciaio al centro.
Ma devo affrettarmi. Devo scendere. Sul binario non la vedo più.

Salgo sul treno giusto, bramoso di scoprire cosa sarebbe successo alla nostra eroina, mentre stiamo per sfuggire a un posto di blocco di gang che ormai controllano a macchie le vie della città, incappo in pagina diciassette:
“Ti ricordi? Quanto mi piaceva dirti le bugie, farti credere alle mie storie e osservare il tuo viso diventare serio mentre ti conducevo da un luogo eccezionale all 'altro. Poi ti dicevo che era tutto inventato e tu cominciavi a piangere. Amavo quelle lacrime quanto il tuo sorriso. 
Sì, probabilmente ero un po' perversa, persino a quei tempi, con quei vestitini che mia madre era solita farmi indossare, con le mie ginocchia ossute e coperte di lividi e la fica glabra da bambinetta. Ma mi amavi vero? Mi hai amato fino a diventare pazzo.”  
Ecco, io, in questo punto esatto, ricordo benissimo di aver alzato lo sguardo per vedere se qualcuno in tutto lo scompartimento si fosse accorto che ero diventato, completamente, rosso.
Rosso di passione, di desiderio, di vergogna.
L'erezione, naturale, potente, era camuffata sotto la giacca e le braccia appoggiate sui fianchi, ma la faccia, dio mio, come avrei potuto camuffare la faccia!
Sentivo il sangue e il suo calore circolare in zone che normalmente non pensiamo nemmeno che ci possa arrivare, come le proverbiali punte delle orecchie.
Ero certo che se mi avessero anche solo chiesto una cosa a caso, avrei fatto fatica a mettere insieme due consonanti. Dubito anche che si sarebbe sentito qualcosa, la mia gola era secca come un canyon. E se si fosse rifatta viva la mia salvatrice, occhi-verdi-e-piercing-al-labbro? anche solo per dirmi che adesso eravamo arrivati a Bologna? La risposta era solo Atti Osceni In Luogo Pubblico.

Per mia fortuna lo scompartimento era quasi vuoto e in ogni caso, nessuno dei posti intorno a me, o da cui potevo essere visto, erano occupati. Anche se credo che del mio improvviso avvampare se ne sarebbe accorto anche il macchinista all'altro capo del treno.

Quest'anno, per motivi di studio, m'è capitato di scorrere la lista delle figure retoriche e, come tutti, per meglio memorizzarne i nomi, li associavo agli esempi che mi venivano più spontanei. Così per l'onomatopea in testa mi dico  la parola tortora, per l'adynaton immagino il cammello con l'ago e i ricchi in paradiso, e per la noema (- evidenziare un concetto esprimendolo con uno stile differente rispetto al contesto - ) io penso sempre a un treno, a una ragazza col piercing, a una fichetta glabra e al sole d'ottobre.

mercoledì 28 novembre 2012

Sinistrismi 14: Il segno della croce correndo

Qualche giorno fa mi son chiesto quanti automatismi, quanti gesti incondizionati, che in realtà sono condizionati dall'abitudine, dal non accorgersi, dal non esserci sempre, dal pensare sempre ad altro e procedere in automatico, fanno parte di noi e ho rivisto nella testa una collina, il dorso di una verde collina, verde scura.
Non troppo inclinata, non una di quelle da Pavese o Fenoglio a San Benedetto Balbo.
Una collina piccola, gentile, rotonda.
Su quella collina, avevo otto o nove anni, correvo a perdifiato.
Ero vestito di blu, blu scuro, quasi nero, con braghette corte.
Correvo e urlavo.
Giocavo.

Non ero solo. Era un gioco tutti contro tutti.
Avevo un pezzo di stoffa arrotolato, grande come un tovagliolo, rosso con i bordi bianchi, a farmi da coda mentre correvo. Il gioco era prendere i tovaglioli degli altri senza che gli altri prendessero il tuo.
Con gli anni poi, dopo, sono diventato piuttosto bravo.
Ma su quella collina non ricordo bene come era andata a finire.
Ricordo solo che un prete, il nostro prete, gentilmente, mentre correvo a rotta di collo, mi aveva fermato.
E mi aveva chiesto di fare il segno della croce. 
Io, ansante, sudato, con gesto fulmineo da Zorro, per levarmelo di torno, eseguo.
Sbagliato, dice lui.
Rifaccio, più lentamente, un po' stranito.
Sbagliato, ripete lui. E alza i bordi delle labbra.
Rifaccio di nuovo, sempre più perplesso. Dopotutto stavo giocando. Cosa voleva da me adesso?
La faccia del don è serena, rilassata, ma irremovibile.
Vedi, fa lui, Non bisogna farlo con quella mano. Sbagli dal principio.
Ma non è la stessa cosa?
No che non lo è? Il segno della croce lo si fa con questa mano, non con la sinistra.
Eravamo alla fine dei beati anni '80, il mondo era ancora per pochissimo diviso in due blocchi, e un prete, decano della cattedrale di una industriosa cittadina di provincia, soprannominata La città degli scout nel cuore dell'Emilia Rossa, che ancora per qualche mese avrebbe goduto i fasti e il lusso della maglieria più rinomata d'Italia sfruttando il lavoro del blocco sovietico pagato dai consumatori in valuta italiana, si ostinava a farmi fare un corretto segno della croce.

Sbuffando, mentre il sudore iniziava a raffreddarmi il collo e la schiena, eseguo, stavolta correttamente.
Soddisfatto, il don sorride.
Sollevato, impaziente, con sguardo supplice, mi preparo a ripartire di corsa.
Vado don, dico senza nemmeno guardarlo in faccia, più che una richiesta di permesso era una constatazione, un arrivederci.
E lui: Va bene caro, cerca però di non nominare il nome di Dio invano. Anche se corri e ti diverti, fai attenzione a cosa dici.
I muscoli erano già in moto, la prima raccomandazione m'è scivolata di dosso mentre ero a tre metri dal don, la seconda m'ha inchiodato di spalle come nei western, le spalle che si allargano, i gomiti che si avvicinano.

Quindi quando non sono cosciente bestemmio?
Perché poi?
Se nemmeno sono consapevole di farlo, perché dovrei insultare qualcuno?
Quali motivi avrei, escluso il grido di dolore dell'Essere che voleva restare Nulla (un ronzio incessante, vero? se ti sintonizzi sulla giusta frequenza, puoi anche diventarci matto)?
Che gusto ci sarebbe?
Oppure sono un portale dimensionale di anime perdute?
Ma il male può essere incosciente?
Secondo Kafka no, è vero piuttosto il contrario ma io Kafka allora non lo conoscevo quindi ciccia, tocca continuare a correre.

Una parte di me è rimasta lì per terra, stesa, mentre tutto il resto continuava a correre.

Non so se era anche la mia anima, sicuro era la mia serenità di uno e indiviso ma ero intorno a gente che crede nella possibilità di uno che si è reso trino quindi più di tanto non ci ho dato peso, allora.
Però, ripensandoci, da quella corsa ho cominciato a stare attento a me stesso, più come reporter che come sbirro. Come sbirro sembro uno di quei poliziotti irlandesi di NYC, tutto ciambelle e passeggiate per le zone bene della capitale, che quando vedo un giovinastro scassinare un'auto dico bonario Fai a modo... Il reporter invece corre veloce, quasi come le storie nella mia testa; quasi però.

E da allora ogni volta che corro, in un lato della testa, canticchio canzoni.

mercoledì 21 novembre 2012

La lista del lunedì: la scaletta

Ormai l'avrete capito, il nome del giorno nella rubrica è puramente accessorio, diciamo che è una invocazione , un augurio alla mia costanza, che puntualmente mi fa arrivare trafelato agli appuntamenti, sempre.
Ma andiamo avanti, siamo tutti qui per una lista e la lista che vi giro oggi compie una settimana, e non è una lista decisa, concordata, tanto meno consigliata da me.
La lista è la scaletta delle canzoni del concerto dei Calexico all'Estragon di Bologna la settimana scorsa, mercoledì 14 novembre 2012.
Se non li conoscete, fatemi un piccolo favore, finite di leggere e ascoltare i video su youtube prima di cercare notizie su google, poi (forse) mi ringrazierete.
Non ho mai fatto una cosa del genere in trenta e passa anni di vita, ma quando alla fine del concerto i roodie, diolibenedica, hanno cominciato a far planare su noi esagitati fans questi fogli bianchi stampati in Black Arial, mi sono slanciato come l'assetato sul miraggio dell'oasi.
Non posso tradurvi tutte le emozioni e tutta la gioia di assistere a un concerto del genere, specie se non siete stati come il sottoscritto in attesa del loro arrivo da (almeno) quattro lunghi anni.
Per spiegarvi il mio livello di adorazione vi basti pensare che posso sentire la loro musica in ogni istante senza stancarmi mai e che li chiamerei in ogni momento importante: un compleanno, un matrimonio, un funerale, una festa a caso, perdo la coincidenza del treno, mi arrabbio, mi allaccio le scarpe, cammino triste, passeggio felice, rivedo amici da secoli dispersi nel mondo...insomma sempre: Calexico e silenzio, alternati, mischiati, per sempre.
E a giudicare dall'entusiasmo e dalle spontanee esplosioni di applausi intorno a me, senza aspettare la canonica chiusura della canzone, non ero il solo.

Ma torniamo alla lista:
1. Epic
2. Across The Wire
(NB: Questo sarà un post lunghissimo, sicuro per voi, ma anche per me. Nel senso che chi scrive è più lento di chi legge, si sa, ma qui voi dovreste aprirvi i video e ascoltarvi i pezzi, almeno due o tre, anche a caso, mentre leggete, e magari finché fate questa bella cosa potete anche augurare qualche maledizione creola a quelle maledette pubblicità prevideo su youtbe, se ci riuscite, e poi tornare indietro e caricare un'altra canzone, ascoltare, magari ripensarci e cambiare, perché no, creare una scaletta inventata, completamente diversa eppure sorella di questa? Ma è un post lungo anche per me perché ogni volta che apro il video e creo il collegamento aspetto la fine della canzone e riassaporo la bellezza)
3. Splitter
4. Roka
5. The Ride Pt 2 (joey - baritone capo 3rd)
E qui cominciate pure a capire il livello di adorazione e fanatismo condensato e presente quella sera in così pochi metri quadrati.
6. Para
7. El Picador
8. Inspiracion
9. House of Valparaiso
10. Fortune Teller
11. Maybe On Monday
12. Sonic Wind
13. Corona
14. Victor Jara's Hand
15. All Systems Red
Anche se qui mi dispiace di non aver trovato il video del live, il climax del concerto - potete chiedere a tutti, ai baristi, ai cassieri, ai buttafuori anche a chi stava fuori a fumare - è stato qui.
16. Alone Again Or una cover di questa Alone Again Or (ovviamente l'ho scoperto adesso, non ho la pretesa di conoscere tutte le canzoni dei Calexico, anche per tenermi un po' la voglia di sorprendermi un domani a dire To' chi sono questi che assomigliano tanto ai Calexico? fare una faccia meravigliata davanti alla gentile risposta e sparare un gran bel sorriso)
17. Puerto
18. Crystal Frontier ? (gran final, giuro che il punto interrogativo non ce l'ho messo io, c'era già)

Poi escono e si beccano i cori per il bis che, siccome sono un super gruppo e sono great hearts, si vede da quanto suonano felici, chiamano sul palco a suonare insieme ai Blind Pilot, il gruppo spalla della serata che ammetto non ho ascoltato molto attentamente, sono arrivato alquanto trafelato (vedi inizio del post), una cosa enorme: Neil Young
19. Heart of Gold w/ Blind Pilot (il momento è stato magico e anche molto divertente, il ragazzone con le sopracciglia scalene che ballonzola al centro del palco come un orso è il batterista dei Blind Pilot, e alla fine del concerto sicuro si sarà beccato dei grandi abbracci, glieli avremmo dati pure noi!)
20. Sinner In The Sea
21. Güero Canelo (Come sopra, la ü non l'ho messa io, c'era già. Qui, come potrete notare - chiedete pure ai baristi, ai cassieri, ai buttafuori e a quelli che stanno ancora fumando fuori - stavamo tutti ballando e cantando, lo juro!)

Applausi a non finire, escono di nuovo e noi li esortiamo ancora, tornano fuori e chiudono con una piccola e dolce ballata
22. The Vanishing Mind

Ancora in estasi, torniamo verso casa in macchina e, che ci crediate o no, mettiamo su dei cd e li ascoltiamo anche lì. Calexico e silenzio, silenzio e Calexico, mentre guidiamo abbracciati nella foschia della notte.
Per sempre.

lunedì 12 novembre 2012

Perché io

Ecco! Ma perché io? 

Ci mancava solo il sole in fronte, caldo e spiccicato, che devo arrivare a casa con questa bici, la Gloria, che l'ho trovata appoggiata a un palo lì vicino a dove lavoravo l'altra estate, libera, aperta, sconsolata. 
Ma era così calda e appiccicosa anche l'altra estate? Un altro po' e sudano anche le piante, le foglie e tutta l'erba, e ho pure dimenticato gli occhiali da sole. 
Poi spunta sempre fuori mio fratello, che vuole il prosciutto crudo fresco, sì devo ricordarmelo altrimenti apriti cielo, quello di due giorni che già non gli va più, dice che sa di vecchio, che non è buono... E te lo credo! lo lascia sempre aperto, senza busta e fuori dal frigo!
Se poi penso che fino a due anni fa si sbafava solo il prosciutto cotto, che a noi in casa sembrava quasi un alieno, tutti a mangiare il crudo e lui lì col cotto, che si sa, non è proprio il più genuino, il più naturale, ma quello non dura settimane, dura secoli, quello sì che lo mangiava comunque, senza storie, era solo suo mentre alla Gloria, che la usiamo un po' per uno, c'ha dato con lo spray verde fosforescente, e anche del nero, il nero davanti, il verde dietro, nero e verde che adesso, più che una bici, sembra un ramarro gigante.

E allora, perché io? se manca tutto in casa, naturale, Esci tu? Nono, esco io, in bicicletta perché mi sono imposto che se non sto lavorando non spreco benzina così, per pigrizia, che andare al supermercato saran meno di due chilometri e mi fa anche piacere passare per il quartiere, così fermo, riposato, in quiete. 
All'andata.

Adesso invece, al ritorno, con la spesa messa sul cestino davanti, cestino doppio, perché quello vecchio traballa ma non siamo ancora riusciti a svitarlo e allora ho messo quello nuovo, di metallo, senza buchi, sopra a quello di vimini, bucato, sbrindellato, colorato di nero, e tutto oscilla come in una babele gastronomica e intanto che esco dal parcheggio e mi metto in strada c'è uno che saluta, sobrio, col finestrino abbassato, fa ciao con la manina, bassa bassa, come se non volesse disturbarmi la concentrazione in questo esercizio acrobatico di alta scuola, e allora io dico Ciao! mentre mi passa vicino anche se non lo conosco, perché son sicuro che non lo conosco, poi guardo meglio mentre mi scorre davanti e vedo che invece sta salutando lo specchietto laterale e infatti sta salutando quello in auto dietro che anche lui, col braccio fuori saluta, e niente, avessi avuto gli occhiali da sole avrei fatto finta di niente, ma succede, e allora appoggio sull'asfalto il minicarrellino portatile che la nonna ci ha prestato per queste occasioni, ma che per fortuna non mi è servito, epperò lo devo riportare a casa e poi lo devo oliare perché il suo cigolio sta aizzando tutti i cani del vicinato, che proprio deve essere un ultrasuono molto particolare perché non me ne scappa uno! incredibile quanti cani siano nascosti dietro a tutte queste villette, casette, case bifamiliari, perfino dai balconi dei condomini, saltan tutti fuori, son tutti qui a farmi il corteo, come quando passa il presidente o muore qualcuno di famoso e tutti si sporgono dalle case con le facce pensierose, i bambini in braccio alle mamme, i padri con le facce serie, compite, proprio da padri di famiglia appunto, e così alla fine, a mezzogiorno spaccato d'agosto, nessuno in giro ma coi cani tutt'attorno, con una mano sul carrellino, l'altra sul manubrio, con davanti la pila di succhi-di-frutta, tè-in-bottiglia, insalata, carciofi-sott'olio, acciughe-sott'olio, pomodorini-sott'olio, melanzane-sott'olio, funghi no, funghi freschi mi raccomando, detersivo piatti e ammorbidente, pollo arrosto, patatine, prosciutto crudo, sì l'ho preso, e baguette che mentre pigli le cunette devi sempre pregare che non finiscano nei raggi, sorridere da solo: perché io, penso a te.

Questo miniraccontino l'ho composto in occasione di un concorso per Racconti Brevi a tema "Nel frattempo" promosso dalla Banca del Tempo e dal comune di Bomporto (Mo). Non ho vinto niente, ma il racconto mi piace lo stesso, così ve lo propongo.  

venerdì 9 novembre 2012

Sinistrismi 13: Ri(ri)pensamenti

Devo rivedere tutta la mia teoria sul mancinismo.
C'è una falla. 
Una pecca.
Uno squarcio.
Una spaccatura.
Un buco.
Grosso così.
L'ho scoperto per caso ieri sera, che poi non l'ho scoperto, è stato solo un ricordo rimosso e ritornato, un momento da madeleine proustiana. 
Una madelaine che sapeva di brianza, di boschi e parchi in autunno dove la classe media biscionesca del decennio scorso si poteva permettere di trascorrere le giornate ancora libera dal via cavo, dal satellitare e dal multitasking, mentre noi, ruvidi da una notte all'undicesimo piano di un palazzone del quartiere Niguarda, pigiati in sei in una Punto bianca, reduci da una serata al Leoncavallo con torte alla maria, esaltati dall'ultimo  concerto dei Fugazi in terra italica, approdavamo a casa di amico di amici, con classica villetta monofamiliare a piani sfalsati così moderna, tinte calde pastello, parquet legno chiaro, tavolino di cristallo, riviste di moda, carrello dei liquori e dalla sua finestra, mentre guardo un leggero tappeto verde alto meno di tre centimetri declina per poi risalire verso la cima, al centro del belvedere dirimpetto, una villa uguale, identica a quella dove sono. 
L'amico di amici ci dice Quella villa è la villa dei genitori di Marco Castoldi.
Morgan...
(courtesy of La Stampa)
Allora forse ho sbagliato tutto...

Anzi no, spiega tutto. 
Sono gli altri che sbagliano.
Cazzo!

martedì 6 novembre 2012

La lista del lunedì: Gli auguri in controtempo (con foto)

La lista di oggi, che esce in ritardo, non è nemmeno una lista. 
Sarebbe stata una lista di biglietti d'auguri, bigliettini amorosi, post-it di ringraziamento, congratulazioni, telegrammi,  fogliettini, vignette, fumettini, poster personalizzati, favole lisergiche, foto del 1985, lettere di felicitazione, cartoline da posti vacanzieri o buste con dentro messaggi anonimi comprensibili solo a me stesso, che però, messi in ordine cronologico e con l'ausilio di diagrammi, sarebbero stati in grado di presentare l'andamento della mia vita familiare, amicale e sociale all'interno dell'italia dagli anni '90 ad oggi. 
Ma ho pensato che avrei messo sotto i riflettori comunicazioni che forse è più giusto lasciare nel magico e morbido mondo del privato. Oltretutto devo ancora districarmi nel labirinto tra ortogrammi, aerogrammi e istogrammi. 

Perché non conosco bene questi banali sistemi di rappresentazione ed elaborazione dati? 
Sturiellett: il mio prof. di economia alle superiori era solito entrare fulmineo in aula, gracchiare con sgradevole voce acuta da fumatore-urlatore-borsa-tokyo: Adesso fate un bel compito in classe! poi scriveva il test alla lavagna, usciva rapidissimo, poco dopo entrava il bidello da lui incaricato per sorvegliarci, poi tornava dopo due ore con un nuovo taglio di capelli. In cinque anni non avrò capito molto di diagrammi, dare e avere, ammortizzamenti annuali, rateizzazioni, ma certo ho capito che gli economisti sono un sottoinsieme dell'italiano medio, solo molto più consapevole del proprio coefficiente d'impunibilità. 

Quindi ho eletto un solo bigliettino a campione delle meraviglie nascoste nei messaggi di auguri che noi tutti riceviamo ogni anno, in ogni occasione più o meno ufficiale o improvvisata. Eccolo qui:

venerdì 2 novembre 2012

Sinistrismi 12: un considerevole vantaggio

Quest'estate, una sera di settembre, ero alla Festa Democratica di Modena, che si chiamava e si è sempre chiamata Festa dell'Unità ma che a un certo punto, sarà qualche anno, quando han deciso che loro, il Partito, si chiamavano Partito Democratico, han deciso di chiamarla  Festa Democratica, la Festa dell'Unità, non Festa del Partito Democratico, Festa Democratica proprio... che se uno un po' un po' ha studiato la storia e si ricorda di Atene e del discorso di Pericle e dei greci in generale (anche se forse adesso è un momento che i greci non vogliam pensarci più di tanto, che ci fan  sentire come quando in ascensore c'è uno che puzza di sudore, lui lo sa, voi lo sapete, ma non lo guardate nemmeno in faccia ma se n'è accorto pure lui, ora che siete in settanta centimetri quadrati, che sta puzzando, l'ha capito dal momento che si son chiuse le porte, e voi a conferma di tutta questa brutta situazione, davvero spiacevole, non lo guardate in faccia, mai, neanche per sbaglio e guardate solo un angolo della pulsantiera e dite Vado al terzo, lei dove scende? mentre intanto avete già pigiato il pulsante), beh, dicevamo, uno che s'intende di democrazia, dovrebbe presentarsi all'ingresso col certificato elettorale e chiedere dove si può votare e chi c'è in lista, qual è il programma, e se è abbastanza previdente può addirittura essersi portato dietro la matitina da casa, e magari, siccome va là per tempo, che la democrazia è una roba bella ma impegnativa, che gliel'avevano detto e se lo ricorda delle funi tese per tenere tutti dentro le piazze per votare, noi, tutti isieme, che siamo il corpo elettorale, tutto ingarbugliato nelle funi, che sembra un po' quella roba lì, quella parola francese, al bondage, che si vede che gli piace a quelli che ci governano 'sta cosa del legarci, tenerci tutti uniti, stretti stretti, allora, lui, che s'intende di democrazia, che è uno serio, preciso, disposto a fare i sacrifizi, può persino proporre, anzi no, avanzare la proposta, non avanzare di proporre che da noi vuol dire non dire più nient'altro, no, avanzare la proposta di spostare gli stand delle giostre, dei pannelli solari e dei caminetti da un'altra parte e dire che lui quest'anno non vuole il ristorante indiano vicino a quello del pesce, perché per lui curry e calamari son belli solo come parole, come suono, ma non al naso, per l'odore che fanno, e che quest'anno la balera deve dotarsi di più respiratori artificiali per i balerein a fine giro. Tra l'altro quando arrivi c'è sempre una scatola con la buchetta, che l'han fatta apposta, solo che non ti dan mai le schede prima, quando c'è da decidere, da esprimersi, come gli piace dire a loro, no, te le dan sempre dopo, quando han già scelto tutto loro: cosa fare, chi chiamare, dove metterli, e a te resta solo di decidere dove andare a mangiare, e prender lì su la scheda e compilare quella scheda lì, mo vigliach! Quest'altr'anno vedi te, mi presento qui a giugno! 
E con la tenda!

Ma alla Festa Democratica, ogni anno, c'è sempre dei bei concerti, diciamocelo. C'è da dire che scelgono loro senza chiedere niente a noi, noi che andiam sempre ai ristoranti e forse per questo ci chiamano corpo elettorale, e ogni anno ci si lamenta, più o meno forte, più o meno in pubblico, che ogni anno son sempre gli stessi e che non c'è mai niente di nuovo, ma in realtà ogni anno, un po', poco poco, ma un po' cambiano. Come col gioco delle tre carte. Tutti gli anni. Puoi star sicuro che se quel gruppo lì non è passato l'anno scorso e neppure quest'anno, l'anno prossimo - truc - è già lì, in scaletta. Ci scommetto quel che vuoi. Anche la tenda! 
Sì, c'è da dire che c'è la crisi anche in queste cose qui, del Partito. Lo si capisce da quei gruppi, che però non son mica tanti ammettiamolo, che vogliono e pretendono di sbigliettare come fossero negli stadi e e nei palazzetti, ma poi non so mica come fanno a tener fuori i curiosi, perché lì, a Modena, la chiamano l'Arena, ma è tutt'un avvallamento, una discesa, un pratone come quella roba che si vedeva nella casa della prateria, che una volta che è piovuto tanto ci potevi andare in barca lì sotto, tanto è ingrugnato e in basso il palco, mentre se a te non va di stare giù, stai sopra, diciamo un nove dieci metri di dislivello, ti metti lì sul bordo e vedi tutto il concerto: hai voglia a dire ai curiosi di pagare! Loro stan là sopra, e si beccano il concerto gratis. Certo, è talmente lontano che sembra di guardarselo alla tele, ma intanto sei lì, al fresco, dopo tutta una giornata di calura, in mezzo alla gente, alla gioventù, con l'odore dei bomboloni e le risate, e gli schiamazzi, e i bambini che corrono di qua e di là, che dicono che siamo a crescita zero ma è pieno di marmocchi, ed tabachein, ma pensa te!

E dunque, quest'anno, era un po' che non venivano, son passati, alla Festa Democratica, gli Elio E Le Storie Tese. Adesso non so bene, ma sicuro non erano venuti l'anno scorso, e neanche l'anno prima, e quindi quest'anno - truc - son tornati. E c'era uno di loro, quello alle tastiere, che parla con quella voce robotica, quell'effetto strano, che diceva che Internet ha cambiato il mondo, e ha migliorato la gente, gli ha fatto imparare robe nuove, gli ha insegnato a fare cose nuove, come imparare a usare il mouse con la mano sinistra mentre si stoccazzava con la destra mentre guardava siti porno, e allora io, che son mancino, ho subito pensato: Ecco, questo è un considerevole vantaggio, và mo là! 

lunedì 29 ottobre 2012

La lista del lunedì 4: Z (con foto)


Mercoledì sera scorso (24-10-12), a Castelfranco Emilia, per una rassegna sul cinema latino americano, abbiamo proiettato Z- L'orgia del potere (Costantin Costa-Gravas, 1969), versione italiana in 16 mm. 
I primi 20 minuti, come potete vedere dalla foto, erano abbastanza rossi, forse anche di rabbia e di dolore. Le pellicole, diversamente dagli umani, più passa il tempo e più diventano rosse.


Qui di seguito trovate la lista di divieti, corollario della neonata dittatura dei colonnelli in Grecia del 1967:

- i capelli lunghi
- le minigonne
- Sofocle
- Tolstoj
- Mark Twain
- Euripide
- spezzare i bicchieri alla russa
- Aragon
- Trotskij
- scioperare
- la libertà sindacale
- Lurcat
- Eschilo
- Aristofane
- Ionesco
- Sartre
- i Beatles
- Albee
- Pinter
- dire che Socrate era omosessuale
- l'ordine degli avvocati
- imparare il russo
 imparare il bulgaro
- la libertà di stampa
- l'enciclopedia internazionale
- la sociologia
- Beckett
- Dostojevskij
- Čechov
- Gor'kij e tutti i russi
- il "chi è?"
- la musica moderna
- la musica popolare
- la matematica moderna
- i movimenti della pace
- e la lettera "Ζ" che vuol dire "è vivo" in greco antico. 

lunedì 22 ottobre 2012

La lista del lunedì 3: il portafoglio

Oggi, dopo avervi descritto cosa potete trovare nella mia inseparabile cartella di cuoio (1) e nell'auto (2), vi descrivo il portafoglio e cosa c'ho trovato dentro.
Il portafoglio, di cuoio marrone scuro, possiede diciotto scompartimenti poiché, oltre al normale scomparto doppio ripiegabile per le banconote, suddiviso in due per separare le banconote dalle cose assurde che sono troppo grandi per stare altrove, ha una sezione ulteriore, una terza "bandella" dedicata alle tessere e alle card, da inserire nel mezzo della ripiegatura finale e che si ferma con una clip. Su questa "bandella" c'è pure un microscompartimento con sopra il disegno di una sim telefonica. La cosa mi ha molto impressionato al momento dell'acquisto perché ero in portobello road a Londra, estate 2009, l'ho pagato 3 pound alla signora polacca e dentro, oltre al portasim minuscolo e a un porta monete minuscolo reticolato estraibile a parte dal portamonete più grande, c'erano un fac-simile in cartoncino di quella che mi sembrava una patente di guida della D.D.R. (ripensandoci spiace averla buttata via).
Questo quello che ci ho ritrovato dentro, (esclusi i classici documenti e i contanti ordinari):
- Cinque carte da gioco: quattro trovate per caso (un re di cuori, un re di quadri, un cavallo di spade, un asso di bastoni) e mezza carta del sette di denari, brillante e divertente modo per contrassegnare i partecipanti a un buffett dai comuni mortali in un circolo letterario.
- Una tessera plastificata della piscina di Carpi (se non sapete il perché, potete leggervi tutta la storia o quasi, su Barabba: http://barabba-log.blogspot.it/2010/12/pensieri-in-apnea-un-ebook.html)
- Una Conad Carta Insieme (intestata al babbo)
- Una carta plastificata che da accesso a più di millequattrocento font e tipi di caratteri tipografici (chi non vorrebbe avere questa possibilità!)
- La tessera dell'ANPI 2012
- Tre tessere bibliotecarie: Carpi, Correggio e una per tutte le biblioteche pubbliche del comprensorio di Modena
- Un biglietto da visita del Taller de serigrafia René Portocarrero en Habana, Cuba (pubb.occ.)
- Un biglietto da visita di un cameraman & editor di audiovisivi (pubb. occ.)
- Un biglietto da visita degli amici di Spazi Indecisi (pubb. occ.)
- Un biglietto da visita di un duo selfproducters, promotorers e sellers di T-shirts bellerrime (pubb. occ.)
- Un biglietto da visita di un fotografo (pubb. occ.)
- Un biglietto da visita di un pittore (pubb. occ.)
- Un biglietto da visita di un geografo che mi ha chiesto un sunto della mia tesi di laurea (adesso lo faccio, eh)
- Un biglietto da visita della direttrice di una casa editrice che mi ha chiesto un manoscritto (link manco sotto tortura)
- La fotocopia del duplicato del patentino da operatore cinematografico (fotocopia dopo che nel 2007 avevo perso l'originale e per tre mesi ho dovuto far pressione e visite lampo in prefettura a bologna per ottenere il duplicato)
- Sei figurine del Manifesto, serie Album di famiglia, regalo apprezzatissimo di una coppia di amici. Le figurine in questione ritraggono: Sacco & Vanzetti; Vo Nguyen Giap, Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Gaetano Bresci e quel barbudo di Bakunin.
- Quattro monetine (nel mini scomparto dentro al portamonete più grande): un cent statunitense, un marco bosniaco, venti fen (centesimi) di juan cinesi, un penny inglese (così posso sempre chiedere a qualcuno i suoi pensieri in cambio)
- Un foglietto di carta su cui ho appuntato a matita Aharon Appelfeld e Bahrenfled (un quartiere di amburgo) con data1939 (non ricordo, devo approfondire).
- Un foglietto da biscotto della fortuna cinese con la scritta "La realtà cambia se filtrata dall'amore" insieme alla fototessera dell'Amore mio, messa di nascosto nel portafoglio.

venerdì 19 ottobre 2012

Per Amore di Bacco: reportage autunnale, con foto (parte seconda e ultima)


(il reportage inizia qui: Parte 1)

Capisci che sei in un posto di lavoro da uomini quando tutti, dal primo all'ultimo, vi sgarullate e mettete a posto i gingilli in ogni frangente, senza remore, senza troppi pudori. Capisci che ormai è una cosa che va al di là dell'orario di lavoro quando le rare volte che esci in tempo per andare a fare la spesa, senza pensare, mentre valuti l'acquisto tra crakers e grissini o altri succedanei del pane, ti chiedi perché la manager con l'auricolare lì accanto ti sta squadrando male, poi ti accorgi che inconsciamente una tua mano sta placidamente “mescolando le carte in tavola”. Capisci però che stai esagerando quando ti gratti in mezzo all'unica porta del capannone, che davanti ha un intero piazzale, ma purtroppo è in perfetta linea retta con la finestra del laboratorio dove la giovane chimica occhialuta, a braccia conserte, sta guardando. E capisci perché al mattino non ti saluta.

Ogni azione meccanica dentro questo mondo meraviglioso è principalmente basata sulle pompe, miracolosi artefatti in grado di spostare quintali e quintali (sì, lo so che tecnicamente stiamo parlando di sostanze liquide, ma qui, quando ancora non è vino al 100%, si usa ancora il sistema metrico delle sostanze solide) di vinacce, graspe, acqua e liquidi refluii delle lavorazioni. La pompa che ogni giorno mi manda l'uva da filtrare dentro la cisterna, molto emilianamente, si chiama Gioiello, agevoliamo la foto:



E non ci si azzardi a dire che le pompe sono tutte uguali, che dopo si offendono e vanno in malora, no. Ognuna di loro ha il suo stile, il suo background, il suo ritmo, il suo groove. Col passare dei giorni troverete sparse per tutta la cantina la pompa valzer, la pompa drum&bass, la pompa funky, la pompa samba. L'ultima che ho individuato aveva esattamente il giro di questa canzone qui

Ci sono poi i tubi, tubi del 50, dell'80, del 100 (non chiedetemi nello specifico perché oltre non mi è dato dimandare), che portano in giro tutta questa gigantesca mole di liquidi semisolidi, un giorno ho individuato una piccola pozza e guardato il tubo lì vicino. Numi! Due zampilli! Di questo passo la cantina diventerà un deserto! Solerte e fiero, come il proverbiale bambino con la diga olandese, pongo indice e medio sui buchini e chiamo aiuto: devo aver salvato almeno una bottiglia di salamino.

Quando c'è da pulire i serbatoi all'interno e allora entri e lavi queste altissime sponde di acciaio lucido e fresco, ti potrà capitare di toccarne una con le chiavi dell'auto, sentirai allora propagarsi per tutto il circolo metallico un suono da space invaders. Anche se fuori, i serbatoi, hanno ancora le impronte belle nitide delle botte del 20 e 29 maggio di quest'anno:


E pensi anche che, se non avessero retto, San Marino sarebbe diventata la Venezia del vino e i gondolieri avrebbero fatto a gara per pagaiare su questo mare profumato, poi ci ripensi e ti dici che è andata bene così, e basta.

Gli insulti più gettonati, perché ovviamente la gran parte di noi stagionali stiamo lì per poco, e ovviamente non sappiamo bene cosa stiamo facendo, sempre, in ogni momento, e ovviamente facciamo danni, ha una sua intrinseca specificità col luogo:
3°: Vai un po' a giocare alle parallele sulle pensiline in cima ai serbatoi, và...
2°: Buttati dentro una vasca che ti facciamo nuotare un po' a rana. (Le vasche ovviamente sono bolle di cemento armato interrate con 2 aperture piccole il giusto per vederci dentro a fatica ma larghe il giusto per finirci dentro come nelle gag di Stanlio e Olio.)
1°: Peggio di te, c'è solo l'anidride solforosa! (insulto magno, giacché non v'è odore più aspro e raschioso, cagevole - nel senso di vomitevole - dell'anidride solforosa)
Inoltre, più è alto il grado di chi ti insulta, maggiore è la stima che i tuoi colleghi avranno nei tuoi confronti. Infatti, come nell'Amleto di Shakespeare, l'insulto del capocantina è complimento da re.

E poi, alla fine della fiera, ho sempre voluto lavorare almeno una volta in un posto dove se apri un rubinetto, le gomme dell'acqua, per la pressione schizzano e sguisciano impazzite come nei film muti di Charlie Caplin e Buster Keaton, anche se certe sere al tramonto, mica sempre ma certe sere, al tramonto, il Cielo sopra la cantina, quando siamo tutti stanchi ma contenti, soddisfatti e consapevoli che stiamo rendendo un grande e piacevole servizio alla comunità, ci ringrazia così:
(fin)

lunedì 15 ottobre 2012

La lista del lunedì 2: in macchina

Salve,
sempre in riferimento alla nuova rubrica (vedi lunedì scorso: la cartella di cuoio) oggi vi elencherò cosa ho trovato nell'abitacolo della mia automobile (in  questo momento in cui state leggendo queste righe io sarò a Dublino, disperso tra strade, monumenti, cieli e libri ma voi non fateci caso, tanto la macchina la lascio giù oggi e il suo contenuto non verrà modificato fino al mio ritorno).
Dunque, dentro la mia pandina grigia fiat, ho rinvenuto, con incerto ordine alfabetico:
- AA. VV. "Crossing the Bridge - Istanbul Hatirasi" colonna sonora dell'omonimo film
- AA. VV. "London Booted - A Bastard Pop Tribute to Clash"
- Biro nera Bic
- Oscar Botto "Buddha e il buddismo" (*)
- Calexico "Hot Rail" + Garden Ruin" (sto ripassando in previsione della - personalmente attesissima - data di Bologna)
- Giant Sand "It's All Over... The Map"
- Giancarlo Frigieri "I Sonnambuli" (in attesa di procurarmi al più presto "Togliamoci il Pensiero" - brand new album)
- Fabrizio De Andrè "Canzoni" + "Le Nuvole"
- Foglietti per sosta gratuita o a pagamento (6 - li utilizzo sul retro in caso non abbia fogli a portata di mano)
- Giubotto arancione di sicurezza
- LCD Soundsystem "Sound Of Silver" + "This Is Happening"
- Lou Reed "Animal Serenade 1 e 2"
- Matita a strisce gialle e nere
- Naso rosso da clown di spugna (da regalare in caso di emergenza a Marco Manicardi, socio tecnocrate di Barabba)
- Padre Gutierrez "Il Tempo Stringe In Vita" (se ci fate click sopra potrete ascoltare alcuni pezzi)
- Patrick Ourednik "Oggi e dopodomani: discorsi di cinque sopravvissuti", :duepunti edizioni
- Ombrello pieghevole beige
- Piero Ciampi "Piero Litaliano"
- Piuma di Fagiana (investita quest'estate dall'auto che mi precedeva una sera mentre tornavo a casa. Il cadavere smembrato era in mezzo alla strada. Ho posteggiato la macchina sono sceso e l'ho spostato facendolo scivolare nel fosso accanto, mentre l'investitrice da lontano mi chiedeva, senza scendere dall'auto: "Ma sta bene?!")
- Portachiavi Po di Kung Fu Panda con bastone
- Ronin "L'ultimo Re"
- Evelina Santangelo "Pesci", collana Zoo 10, edizioni :duepunti
- Shunryu Suzuki "Mente Zen - Mente di Principiante" (*)
- The Clash "Super Black Market Clash"
- The Lounge Lizards "No Pain For Cakes" + "Queen Of All Ears" + "S/T" + "Voice Of Chunk"
Valerian Swing "Draining Planning For Ears Reflectors" (se ci fate click sopra potrete ascoltare alcuni pezzi)
- Tom Waits "Closing Time" + "Frank's Wild Years" + "Small Change" + "The Heart Of Saturday Night"
- Alan W. Watts "La Via Dello Zen" (*)

Poi, quando torno, con calma, mi spiegherete perché, una cosa che ho notato adesso trascrivendoli, i titoli degli album hanno tutte le lettere iniziali delle parole maiuscole, anche quando sono articoli o preposizioni.

* i succitati libri sono temporaneamente in transito nel mio cruscotto, da quando ho deciso di fare da traghettatore tra un appassionato di letteratura zen e un aspirante neofita un paio di anni fa e passa. Il neofita me li ha restituiti ormai un anno fa e da allora, nella speranza di incrociare il legittimo proprietario in quel di Bologna, me li porto sempre appresso. Nel corso di un paio di controlli stradali, occupando lo stesso spazio dei documenti e scappando fuori per primi, hanno avuto il pregio di farmi passare dallo status di potenziale Charles Manson a quello di innocuo frikkettone new age in un istante. Per questo motivo non ho poi troppa fretta di restituirli. In cambio di questo loro servigio (involontario) mi sono imposto la difficile promessa di non leggerli mai.


venerdì 12 ottobre 2012

Sinistrismi 13: la tasca

Sabato scorso eravamo a Ferrara per il Festival d'Internazionale.
Giornata calda, molto più calda del giorno prima dove alla sera è arrivato del vento fresco.
Fin dalla mattina, sono uno che suda molto in genere, mi sono preso la briga di mettermi delle braghe corte.
Erano braghe al ginocchio, di stoffa, grigio scuro.
E avevano una sola tasca posteriore: la destra.

Voi non potete immaginare il fastidio di mettersi il portafoglio contro la chiappa sbagliata per un viaggio intero. Provateci.

Ma il meglio l'ho dato al momento di pagare il pranzo, alla cassa di un bar dentro il chiostro di San Paolo, mentre eravamo immersi nella fiumana inarrestabile di giovani e non giovani che accorrevano per ascoltare storie vere e commoventi di donne mediorientali che giorno dopo giorno lottano contro i soprusi dei propri concittadini di diverso genere.

Avevo nella mano destra il telefono, o il programma, non ricordo, e la cassiera mi aveva appena presentato lo scontrino in attesa che le allungassi i contanti. Immediatamente, la mano sinistra svelta saetta verso la tasca posteriore sinistra, che ovviamente non c'è. Subito, senza demoralizzarsi né chiedermi niente, ripassa davanti all'ombelico (che tutto vede, tutto sente, tutto sa ma niente dice) e procede verso la tasca posteriore destra, costringendomi a una torsione degna del Laocoonte di Michelangelo. La mano sinistra però non ci arriva.
Ma insiste. Insiste e tira.
Insiste al punto da farmi fare un giro di 360°.
Una veronica.
Una vera veronica su me stesso, tra lo stupore della cassiera, dei giovani e non giovani affamati e accaldati intorno.
L'Amore mio era a prendere i posti a sedere, la calca l'ha protetta dalla mia prodezza da torero.

Quando la faccia, che prima stava seguendo la mano sinistra chiedendosi dove potesse andare a finire se non fosse che è attaccata al polso e al braccio e da lì al resto del corpo, mi torna sullo sguardo incuriosito della cassiera, accenno un sorriso.
Alle mie spalle esplode un applauso, composto ma sentito.
Ovviamente sono tutti applausi per le beniamine che sfidano il mondo sciovinista e sessista del Nordafrica.
Ma io, comunque, per sicurezza, non mi volto.

lunedì 8 ottobre 2012

La lista del lunedì 1: cartella di cuoio

Salve, questa è una nuova rubrica, semplice semplice, perché in questo periodo devo fare un po' di chiarezza , anche nella mia vita, e parto dalle cose che ho più vicine a me.
Quindi, dentro la mia inseparabile cartella di cuoio marrone con tracolla, che ho miracolosamente salvato da un lancio del precedente proprietario nel cassone dei rifiuti ingombranti della "stazione ecologica" dove istruivo le persone su dove smaltire che cosa, oggi trovo:
- il libro Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione di J.D. Salinger
- un segnalibro fatto di pellicola cinematografica (idea soggetta a copyright)
- una agenda rossa annuale con elastico
- un taccuino nero con elastico (iniziato il 16 settembre 2012)
- un quadernino marroncino (iniziato il 14 agosto 2012 - finito il 14 settembre 2012)
- una busta da A4 plastificata con dentro le carte d'imbarco per un volo Orio al Serio (BG)-Cork (IRL) e viceversa (parto questo giovedì 11 e torno giovedì 18)
- una busta bianca di carta da A4 delle poste italiane imbottita con dentro fogli bianchi, alla bisogna
- una macchina fotografica digitale compatta con annessa custodia imbottita
- occhiali da vista con custodia
- occhiali da sole senza custodia
- una custodia per occhiali con apertura a scatto che uso come portapenne (idea soggetta a copyright)
- due matite lapis: una corta e azzurrina, l'altra lunga e marrone
- un temperamatite a due fori
- una gomma
- due matite a micromina
- tre biro nere bic
- una biro nera a scatto
- una biro pilot nera
- una biro pilot blu
- un pennarello nero indelebile
- due pacchetti di fazzoletti (uno quasi finito)
- una molletta di legno corta con su scritto dodici, rubata al ristorante cinese dove ho festeggiato l'arrivo del 2012
- un portachiavi multitasking con diecimila funzioni, dalla bussola alla lente, dall'apriscatole al cacciavite
- una moneta/medaglione recante lungo il bordo la scritta: "Opatija Medveja Zagreb Umag Rijeka - Hemingway Bar" e al centro un incisione del faccione barbuto di Ernest, regalo di mio fratello al ritorno dalla Croazia (quell'uomo ha bevuto dappertutto)
- una lettera c di metallo, probabilmente appartenuta alla griffe di un trattore, trovata durante i giri per ViaEmiliaDoc
- una caramella fisherman'sfriend arricciata sui lati, come se avessero cercato di spremerla
- una spilletta dei Minor Threat
- un bottoncino blu coi buchi al centro rotti
- una castagna (la saggezza popolare dice che con una castagna in tasca o in dosso non ti ammali mai)
- una ghianda di quercia (nessun motivo apparente)
- una mandorla secca, souvenir di questo viaggio qui.

giovedì 4 ottobre 2012

Per Amore di Bacco: un reportage autunnale, con foto (prima parte)

Non ho scritto per due settimane, lo so, ma ci ho la scusa pronta: lavoravo. Ma lavoravo per bene, sodo, lavoravo dodici o tredici ore al giorno, consecutive, con pausa pranzo di mezz'ora.
Lavoravo così tanto che non leggevo più di quattro righe alla sera e poi crollavo, e chi mi conosce sa che è quasi incredibile tutto questo.
Ma lavoravo per un bene comune, per una gioia collettiva, per mandare avanti ancora per un altro anno il monumento alcolico della mia zona: IL LAMBRUSCO.
Un mese di addetto ai filtri presso la cantina Civ & Riunite di San Marino di Carpi.
Contratto a tempo determinato per una felicità illimitata.
Sarebbe lunghissimo e complicato rendervi edotti su tutti i svariati passaggi e le innumerevoli procedure che portano l'uva da sereno grappolo attaccato alla vite a vino in bottiglia (di alcuni ovviamente ne sono all'oscuro anche io), posso però tranquillamente assicurarvi che, come per il monumento alimentare della zona (AL PORC), dell'uva non si butta via niente, ma niente niente. Giuro.
Anzi. Si arriva a un punto della macerazione, pressione, drenazione, filtrazione che, per evitare che altri cerchino di produrre alcool da ciò che la cantina sta smaltendo, mi son trovato a spargere una polverina bianca corrosiva  in grado di azzerare la fermentazione della feccia.
Ma partiamo dai capisaldi, con ausilio visivo.
Appena apri la porta ed entri nello spogliatoio per cambiarti, in alto sul muro, dove solitamente vedi un muffito e tristo crocefisso, trovi questa immagine qui:

E ti dici, Beh, dai, cominciamo bene! poi abbassi lo sguardo e trovi l'altro spirto benaugurante:


Così, alle 7:58 di mattina, rinvigorito da un caffè bollente e rinfrancato dai Lari che proteggono la cantina, indossati gli scarponi antifortunistici, ti porti verso il tuo nuovo lavoro, che è davvero nuovo, nel senso che una cosa così, se come me fai parte del quartario avanzato (talmente avanzato da confondersi con l'orizzonte, come dissi una volta), quello che smanetta tutto il giorno davanti a un pc e deve essere pronto a rispondere contemporaneamente a varie istanze, dubbi e rotture di maroni sia extraschermo che intra, non l'hai mai fatta.
Qui si torna alla meccanica, alla chimica, alla pressione e alle reazioni chimiche, ai tubi, all'acciaio, alle fabbriche alla Tempi Moderni di Charlie Chaplin, alla tecnica che prende la materia grezza fornita dalla natura e la raffina fino a farne un succo civilizzato, elegante, limpido, che ci inebria e ci riporta verso un primordiale stato di natura. 
Come in un girotondo. 
(fine prima parte)

giovedì 13 settembre 2012

Sturiellett: un matrimonio e tre letti

Sabato scorso c'erano degli amici musici che erano stati ingaggiati a un matrimonio epico e fiabesco in quel di Reggio Emilia tra una Ravennate di nascita e Toscana d'adozione e un Ucraino di nascita e Polacco di famiglia. Gli amici musici chiedevano pernottamento, per loro due e per la morosa di uno dei due. La morosa dell'altro era a Roma.
Quindi tre letti. per una notte. La notte del matrimonio. Perché poi il giorno dopo avevamo, i musici e noi Barabbas, la lettura con le mondine, quindi che senso ha tornare a casa e poi andare a Modena se sei già in zona? 
Quindi un matrimonio e tre letti.
E il mio amore e io eravamo tra gli invitati, al matrimonio. Il mio amore per la prima volta, o quasi, sui tacchi. Infatti.
Il mio amore è poi qualcosa di incredibile. Così incredibile che chiunque la guardi pensa che sia alta almeno 10 centimetri in più della sua statura. Io stesso, nella mia testa, quando la guardo, la vedo alta come me. E non sono l'unico. Dev'essere una sorta di vertigine collettiva.
L'altra sera però era davvero alta come me. E rischiosamente, vi dirò.
Ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Tornati a casa salvi e felici.
Ma casa nostra, a Correggio, per ora, non ha letti in surplus. un matrimoniale e un divano. Punto.
Quindi avevo chiesto ai miei genitori di ospitarli per una notte. Mio fratello, che ha un letto matrimoniale, dormiva dalla sua morosa e così la coppia era a posto. Il musicista single invece si sarebbe dovuto accontentare del mio vecchio e caro soppalco. Tutto a posto, ma.
Ma la morosa di uno dei musici, la morosa prevista, non è poi arrivata, causa imprevisto.
Accompagniamo i musici a casa dei miei, a Carpi, dopo una serata piacevole iniziata con mazurke e finita con frenetici giri di superalcolici innescati dalla proverbiale domanda che ogni romagnolo vuole fare a uno dell'Est: "Ti piace la wodka?"
(Quella sera abbiamo scoperto anche che acqua in polacco si dice woda, praticamente una kappa in meno.)
Risposta: "Sei tu uomo?"
E così sia. 
Storti e sorridenti scortiamo i musici a casa dei miei.
Riassumiamo: tre posti letto, due musicisti, una madre insonne che il giorno dopo, praticamente tre ore dopo il nostro arrivo, si sveglierà per andare in montagna in moto. (Sì, ho dei genitori bikers, e ne vado molto fiero).
Gli ingredienti ci sono tutti, a ben vedere.
Entriamo in  casa, scopriamo mia madre sveglia sul divano a leggere, presentazioni a mezzavoce (anche perché mio padre è di quelli che se alle cinque ti devi svegliare, alle due dormi) e momento totocamere.
Madre: "Allora qui c'è il matrimoniale."
Musico 1: "Ci vado io. Grazie e buonanotte."
Madre: "Buonanotte. E qui, in questa stanza c'è il soppalco."
Musico 2: "Perfetto."
Madre: "Ma sei sicuro? non volete dormire insieme?"
Musico 2: "Perché? va benissimo così. Anzi, grazie mille!"
Madre: "Ma ti senti sicuro lì? Metti che parte una scossa, come fai?"
(in effetti non ho pensato a come sarebbe stato beccarsi la scossa del 20 maggio sospeso a quasi 2 metri d'altezza.)
Musico 2 (sfoggiando impavido coraggio romagnolo): "Ma no! ma cosa vuoi che succeda, ormai. Va benissimo così. Davvero. Buonanotte. Grazie."
Madre: "Va bene, buonanotte allora."
Mia madre va a letto e nel dormiveglia penserà: "Guarda che carini questi amici gay di mio figlio. Sono così discreti che pur di non turbarci non dormono insieme."

(I musici mi hanno concesso l'autorizzazione a renderli noti: essi sono i Gianluca e le cose, dove Gianluca è il contrabbasso e i due musici sono le cose pensanti e suonanti chiamate Fabrizio Chinaglia e simone rossi, che è pure scrittore pubblicato e selfpubblicato e lo trovate qui.) 
    

lunedì 10 settembre 2012

Back to School 16: scrivi l'incipit di un racconto o un romanzo

Il finestrone a piano terra dell’istituto è bello grande, di quelli a tre ante, che ci puoi vedere tutta la vallata fino a Giulianova. Manlio l’ha appena richiuso e adesso torna alla sua tazza di tè. L’odore di neve è scivolato dentro immediatamente, mescolandosi al tanfo di disinfettante della stanza. L’unico rumore adesso lo faccio io. Clic-clac, clic-clac, sempre e solo clic-clac. Sto attaccando le fibbie a queste borse no-profit, una cosa che riesco a fare ad occhi chiusi. Ma i miei occhi sono aperti, mi servono, voglio capire perché Manlio ha gettato la sua clip fermasoldi dalla finestra. Beve qualche sorso, ma non ha paura di scottarsi, e subito s’affretta a sputazzare i pezzettini di limone che ci son caduti dentro. Sembra che stia pensando a qualcuno o qualcosa, qualcosa di molto lontano da qui. Appoggia la tazza e torna di nuovo verso la finestra.
Eccolo lì” dice. Sembra rassegnato, come quando ci guarda dopo che abbiam fatto un danno. Non ho bisogno d’avvicinarmi, ho ancora gli occhi buoni io, non come i suoi, deboli e rossi, bacati a furia di star sopra a dei libri vecchi.
Anche se fuori è buio lo vedo bene Juan, lo riconosco da qua. È l’inserviente del primo piano, magro magro, con una faccia piatta e i capelli lunghi legati con la coda. Insieme agli altri lo chiamiamo el Matador, anche se è del Venezuela, ma ogni tanto improvvisa delle giravolte, mentre schiva le  cariche scomposte di Uccio e Gelo, e così il soprannome gli è rimasto. Juan è un’ombra nera contro la neve delle colline sullo sfondo, ed è scalzo, indossa solo quei buffi maglioni di lana grossa che da qualche ora tutti si sono affrettati ad indossare mentre sotto è nudo, gracile come uno stecco, sembra uno di noi quando ci portano a lavare. Si muove piano piano, nonostante le nuvolette di freddo che fa il suo respiro, sta cercando qualcosa e Manlio allora ha un brivido, apre un’anta del finestrone e mentre Juan è chino sullo stesso punto dove la clip è finita urla: “fermo! non lo fare!” Juan gira la testa, la coda che gli penzola di lato.
Non posso vedere la faccia da qui, posso solo immaginare l’espressione da simpatica canaglia che starà tirando fuori, quella solita del furto dell’ultima brioche o del mazzo di carte requisito ai ragazzi per poi usarlo in guardiola con i sorveglianti della notte. Ma qualcosa non torna, el Matador comincia a mugugnare, lancia qualche rantolo mentre si rialza e comincia a vorticare, non sono le sue solite piroette, sembra una strana danza alla luna, come quelle dei film western coi pellerossa in cerchio, ma lui è da solo, si agita, come per uno degli attacchi che aveva Ester, sempre più velocemente e poi, di colpo, crolla.
Scatto in piedi, m’avvicino a Manlio, non so cosa fare, guardo lui e il corridoio, sto per correre fuori verso l’uscita ma Manlio mi prende per il braccio, una presa delicata, da femminuccia rachitica, e mi dice: “è tutto inutile oramai, torna al tuo posto, a Juan ci penseremo noi.”.
Il volto di Manlio è triste, sembra che stia ancora pensando a qualcosa di lontano. Mi devo fidare di lui, per el Matador non c’è più niente da fare, come per tutti quegli altri. Manlio richiude l’anta, sospira e qualche sibilo passa tra i denti sgranati che si ritrova in bocca. Immobile mi guarda, dall’alto in basso, e a bassa voce scandisce: “Pecunia non olet sed necat… il denaro non sporca ma uccide, adesso”. Poi coi guanti di lana cerca di prendere il manico della tazza di tè ancora caldo.


Con questo i miei compiti sono finiti, la storia descritta qui sopra invece sta andando avanti, forse, chissà...la prossima settimana qui in Emilia le scuole riaprono, sembra di aver capito. Quindi Welcome Back to School e buon anno, a tutti, non solo agli studenti, perché, come diceva quello, Nella vita gli esami non finiscono mai.



venerdì 7 settembre 2012

Sinistrismi 12: a una turista sventurata

Domenica eravamo nella libreria Piccolomini, che è una stanza lunga e alta incistata nel lato sinistro del Duomo di Siena, piena di dipinti di Pinturicchio & co.
Per visitarla, dato l'alto numero d'interessati, c'è un giro obbligatorio da fare, rigorosamente orario, partendo da sinistra.
Non bastano i cartelli in doppia lingua, ci sono pure le guide e gli inservienti a consigliare la corretta circumnavigazione della sala.
Ma se sei crucca, non c'è modo.
All'entrata, notando la tua indecisione, tutti ti sorrideranno e a gesti cercheranno di mandarti in direzione del flusso. Invece tu, caparbia come solo la tua stirpe sa di essere, sorpasserai chi ti voleva aiutare e indicando di voler andare a destra, ti perderai nel mare controcorrente, sfidando la sorte, sorbendoti tutti gli urti di chi, col naso per aria, non pensa d'incontrare ostacoli davanti a sé.
Nella marea un ciuffo di capelli castani slavati e le inconfondibili calze violette sandalate.
Ci piace ricordarti così