lunedì 2 luglio 2012
Back to School 6: Inserisci le prime frasi sentite al mattino e mettile in una storia
«Guarda che non sei mica tenuto a farlo…»
N. mi urla da sotto la tendina del container che ci fa da ufficio.
Il tono è dolce, apprensivo e tipico di chi c’è già passato prima di te. Ma la posa è la stessa di quando intima agli zingari a caccia di metallo di andarsene. Mani giunte dietro la schiena, gambe larghe, faccia in su. È ben piantata lei, cosce piene, busto tozzo e mascella un po’ sporgente. Non è proprio una bellezza e messa così, con gli occhiali da sole, sembra un ducetto con i capelli ricci, lunghi grigi e unti, che gli colano sulle spalle. Ma lo sguardo è dolce, io lo so. Ha lo stesso sguardo del suo bastardino pezzato.
«Siii. Un attimo e arrivo.» belo io accondiscendente. Lancio gli ultimi rami di magnolia nel vascone, mi tolgo i guanti e trotterello al riparo. Il sole è quasi a picco.
Nicoletta è la responsabile qui. E per qui intendo la piccola discarica di Fossoli. Che non si chiama più discarica. Adesso si chiama Centro di Raccolta. Per un po’ si è chiamata Stazione Ecologica. Quasi quasi la stavano per chiamare Isola Ecologica. Il ministero negli ultimi dieci anni ha cambiato nome a questi posti almeno quattro volte. Ecco che cos’è il Potere. Dare nuovi nomi alle stesse cose. Solo quello. Per fortuna i vecchietti continuano a chiamarla discarica.
«Avete messo su l’impianto geografico!»
«Sì, venga signore che le faccio vedere come funziona.»
È il mio compito, il mio mestiere, ancora per pochi giorni. Tutor Ambientale.
Devo informare, educare, insegnare, promuovere le novità introdotte dal ministero dell’ambiente in materia di rifiuti differenziati. Ogni persona che vuole lasciare qualcosa in questi posti deve avere un suo codice identificativo, non ce l’ha? Controlli bene, è una tesserina, oppure gliel’hanno stampato sull’ultima fattura dei rifiuti, rifiuti mi raccomando, non gas o luce, rifiuti. Con quel codice identificativo si sblocca una pistola, sì sì, sembra il salvatempo, lei punta le figure, sotto ci sono i codici a barre, ci spara sopra e così noi sappiamo che cosa ha buttato, ok? Noi, dio… il ministero, cosa vuole che cambi alla ditta se ci butta trenta chili di vetro o due sedie rotte. Così alla fine dell’anno il ministero sa da dove proviene tutto il ciarpame del “Centro di Raccolta” di Fossoli e di tutt’Italia. «Cosa se ne fanno di tutti questi dati?» Ogni volta che me lo chiedono immagino la ministra, bella donna, tuffarsi nuda e liscia in un mare di fogli traforati lungo i bordi come Paperon De Paperoni tra i dollari. Immagino i funzionari darsi alla pazza gioia con barchette e cappelli da muratore. Batterie di aeroplanini che planano fuori da finestre imponenti. Origami di brontosauri scala 1 a 1.
E invariabilmente rispondo: «Censimento, statistiche» oppure: «Sa, le nuove normative sulla trasparenza». Nel novantotto per cento dei casi, tutto si ferma lì. Con i pignoli improvviso.
«Allora signore, è come alla Coop, ha presente? Solo che là è facoltativo, qua è obbligatorio.»
Nicoletta mi osserva e registra tutto. Tra poco sarà lei a dover recitare questo canovaccio. Io ormai mi limito a memorizzare i nomi più splendidi: Remigio La nubile, Paola Pilu, Margot Kapfenberg, Vulmeria Cavazza, Uber Guerra. Il signore che ho davanti. Uber Guerra, sempre guerra. In effetti è grosso e abbronzato, tutto vestito di bianco, sembra un fabbro mitologico nei panni di un gelataio. L’espressione del viso invece è mite, l’età indefinita. Come N. Ma lei è solo più rovinata della sua età. Mentre s’informava sul mio strabiliante curriculum e le stavo raccontando l’ardua fatica del proiezionista e la sacra solitudine che traspira dalle cabine sopra alle sale cinematografiche, le è scappato: «al Corso c’era uno, lo conoscevamo, lo chiamavamo Metadone…». Eccola: N. giovane e disperata, spensierata eroinomane a cavallo di una moto da easy rider nei rampanti e marci anni ottanta.
Uber ha la macchina ricoperta di secchi pieni di pietra, ma è pietra liscia, grigia scura, quasi elegante. Come al solito il boy-scout che è in me preme e allora mi rimetto i guanti. Appena riesci a trascinarlo fuori, ogni secchio ti stira le braccia di una spanna.
Sbuffando col sorriso dico: «Quanta pietra aveva in casa!»
«Sai quanto ci si mette a buttare giù una scala?» e ride.
No. Forse l’ha fatto a mani nude. Nomen Omen.
«Ha controllato prima se su non è rimasto nessuno?»
«Cosa?»
«Niente, niente».
Sempre Scuola di Scrittura Elementare Emiliana con Maestro Unico Paolo Nori
Il bello di questo compito era capire quali frasi erano vere e quali false.
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Karl Kraus