lunedì 23 luglio 2012

Back to School 9: descrivere un evento storico a cui hai partecipato


Avanzavano. Erano tanti, tutti diversi, a gruppi di venti o trenta. C’erano anche gruppi da quattro o cinque, ma la stragrande maggioranza erano branchi abbastanza numerosi. Con andatura costante venivano avanti. Erano di tanti colori e tanto diversi ma erano lì. Tutti insieme. E avanzavano.
Sorridevano. Erano uomini e donne, quasi tutti giovani. Alti o bassi, secchi secchi o possenti, erano tutti forti, aitanti. Sorridevano tutti. Sorridevano e salutavano. Uno di loro, se erano in tanti anche di più, teneva in alto un grande stendardo  coi colori accesi della propria nazione e quasi sempre mi chiedevo che nazione era, se era calda o fredda, se aveva acquazzoni o deserto, se aveva le capanne o i grattacieli, se erano in guerra, in guerra civile o in pace. Entravano tutti da un lato dello stadio, migliaia di passi sulla sabbia rossa della pista d’atletica. La folla non smetteva di gridare e applaudire. E loro avanzavano, sorridevano e salutavano.
Sembravano non finire più. Una sfilata infinita e avanzante. Quando uscivano dall’ombra del sottopassaggio ed entravano nello stadio lo speaker li annunciava ma io non capivo chi erano. Ero un po’ confuso, stordito. I megafoni gracchiavano. La folla non smetteva un secondo d’incitare. E lo speaker parlava inglese. Era il corteo inaugurale delle Olimpiadi di Sidney del 2000. Era settembre. Un bel caldo. Sia qua che là. Qui mezza mattinata, là c’era il sole uguale. Non so. So solo che non finivano più.
Mi sforzavo di stare calmo e di immaginare tutti quei paesi dove ormai non sarei mai potuto andare. Carpi. Casa mia. Profilattico rotto. Corsa al consultorio di Modena. Lei entra per fare la visita di controllo prima di ricevere la pillola del giorno dopo. In realtà le stanno facendo una ramanzina, camuffata da prevenzione. Funziona. Da quella volta comincia a prendere la pillola. Durex addio. E io cosa faccio mentre lei viene consultata? Dopo aver girovagato per il salone, in preda a comprensibile ansia, e dopo aver capito che in movimento o seduto sono già ininfluente a questo punto della storia, mi siedo sul divano sfatto della sala d’attesa, rosa tenue, rosino. Di quelli con l’imbottitura in spugna. In angolo, nel salone, un bel tivù da 32 pollici, a occhio e croce. Non voglio pensare: la testa mi scoppia. Non leggo: le poche riviste buttate intorno fanno solo aumentare l’ansia. Non ricordo se la tv era già accesa, o se l’ho fatto io, se era già su quel canale o l’ho cambiato col telecomando. Non ricordo il telecomando. Solo una processione festante e io che ormai sentivo di esserci finito dentro per bene, dentro in pieno, nell’interminabile catena del genere umano.


Questo compito in questi giorni vi farà capire cosa penso tutte le volte che in tv parlano di Londra 2012.

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Karl Kraus