Mi ricordo di aver allagato casa, al terzo piano di un condominio, i muraglioni di neve contro i cancelli arancioni e beige e la matta che dalla casa bassa in fondo alla via gridava “P-pà! G-giù!” e rideva forte e felice mentre giocavamo.
Mi ricordo il primo bacio, a occhi chiusi: ho immaginato una balena bianca nuotare nell’immenso oceano buio.
Mi ricordo di aver difeso un amico dalla banda di ragazzi del quartiere mentre una vecchietta da una finestra con le tapparelle quasi abbassate gli intimava di lasciarci in pace; qualche anno prima, a causa di uno scherzo malriuscito, gli avevo rotto due denti con un pugno, a quel mio amico.
Mi ricordo gli occhi rossi di una grossa lepre, spintami incontro dal movimento di mio nonno, il suo stupore, il mio: eravamo alti uguali.
Mi ricordo la prima canna, ringraziavo tutti come a una premiazione.
Mi ricordo “Shining” alla Tv e tortellini alla panna alle tre di notte nella piccola casa buia di un’amica sola.
Mi ricordo la vecchia casa dei nonni, per anni è stata il modello base inconscio di tutte le case umili descritte da Dostoevskij.
Mi ricordo la fine del primo amore, le strade larghe e vuote di Parigi, lo smarrimento infinito e la vista inquietante del quartiere La Defence.
Mi ricordo i suoi morsi e le risate in un parchetto d’estate, saremmo potuti rimanere lì all’infinito…
Questo compito, eseguito sulla scorta degli esempi di Raymond Queneau e di Matteo B Bianchi, ha il pregio di farvi stupire dei vostri stessi ricordi, almeno a me è capitato. Da oggi le scuole sono ufficialmente chiuse (le nostre qui in zona da un po' prima). Intanto sto cominciando a far l'educatore in un campo estivo. Back to School again.
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Le opinioni si riproducono per divisione, i pensieri per germinazione.
Karl Kraus