venerdì 29 giugno 2012

Sinistrismi 4

Nell'iconografia medievale il diavolo era raffigurato con due mani sinistre. Ogni volta che doveva giurare o dare indicazioni ai passanti era un inferno.

lunedì 25 giugno 2012

Back to School 5: la frase che cambia le tue opinioni


Lunedì scorso, finita la lezione, con Camilla e Maddalena stavo guardando il libro che Maddalena aveva trovato negli scaffali dietro di noi. Fantozzi. Di Paolo Villaggio. Mentre parlavamo se fosse ben scritto o meno e del fatto che era uscito prima il libro del film, Paolo Nori si avvicina e ci racconta che anni fa degli scrittori russi erano venuti a Roma per parlare dei migliori autori contemporanei tradotti in russo. E dice che a fare gli onori di casa c’era Moravia e che quando i giornalisti hanno chiesto quale fosse l’autore italiano preferito dai russi, Evtushenko, il poeta, avrebbe detto: “Vigliacco, a noi piace molto Paolo Vigliacco” e Villaggio era in sala, e si era accorto che anche se avevan sbagliato il nome si riferivano a lui e che ad ogni passo di Villaggio per avvicinarsi, Moravia, che lo aveva visto dal palco, fremeva e lo fulminava con lo sguardo, come a dire Provaci e ti sbrano. Mentre ridevamo di questa scena ho cominciato a chiedermi quanta autobiografia o esperienza reale ci poteva essere nel libro: Quanto Villaggio c’era in Fantozzi? E quanta routine, quanta noia? E mi son ricordato di Paolo, di quanto doveva esser stato felice quando aveva scoperto che la propria esistenza quotidiana, minuto per minuto, poteva diventare materia di racconto. “Tutti quei pomeriggi inutili passati sul divano…” aveva detto, come per riassumere il punto preciso e specifico dello spreco.
Allora ho cominciato a pensare a quali frasi m’avessero costretto a un cambio di rotta, a una deviazione improvvisa. E ho rispolverato un po’ di quelle frasi leggendarie che ognuno si porta dietro dalle proprie disavventure sentimentali. Le frasi degli amici, delle amiche, delle amanti. E finalmente un episodio preciso e nitido è spuntato.
Settembre 2007, un caldo incredibile, giù in tavernetta a studiare, Latino. Il mio ultimo esame. Un pomeriggio così caldo e afoso da sembrare unto. Studiare la declinazione degli articoli indeterminativi a petto nudo è una di quelle cose che uno anche se campasse diecimila anni non s’immaginerebbe mai.
Una mia amica mi chiama al telefono, vuole che venga con loro a vedere i Buskers (gli artisti di strada) a Ferrara. Loro chi? Lei, il suo moroso e Ana, la sua amica brasiliana in scambio universitario, una piccola dea marroncina con una voglia a chicco di caffè sulla guancia sinistra. Quell’anno era pure venuto Gilberto Gil in piazza maggiore a sancire con la musica e il ballo non so bene quale accordo tra il comune di Bologna e il Brasile. All’epoca era pure ministro. Ministro della Cultura. Sessant’anni e ballava come uno scalmanato, il ministro. Ma io ero un po’ distratto, avevo davanti a me Ana che mostrava con tutto il suo corpo, ma specialmente con le anche e il bacino, la sua gioia intima per un concerto di musica nostrana. Ana, Ana che viene dallo stesso paese dei Sepultura e che quando parliamo di musica la sua lingua scivola dietro il mio collo e su verso la cervicale.
Da noi i giovani si dividono in generi musicali. Anche da voi? Come si dice Emo?
Como? Ah, Emu.
E indie? Sta per indipendente
Ingie, musica ingie”.
Un altro incontro e mi avrebbe strappato il cuore.
Dai, lo sai che ha chiesto esplicitamente di te? Ogni volta è un Dov’è Luca? E cosa fa Luca? Ma viene Siru?
E in quel momento, appeso all’asta della doccia nel piano seminterrato, mentre fuori tutto è immobile nell’afa e pure le zanzare rallentano nell’atterraggio sulla pelle, guardo fuori verso la finestrella con le sbarre e un pensiero stupido e superstizioso scatta. Sacrificare questa bellissima serata, questa primizia, questa eventuale storia d’amore sull’altare del Dio Latino. Prendo una delle cose più belle che mi stanno capitando in questo periodo e la rendo a te, divinità antica e inutile, e tanto più collerica quanto inutile. Un sacrificio sentimentale.
L’esame è andato bene anche se ci son giorni che faccio fatica a perdonarmi.
Ma poi ho continuato a rimuginare su episodi del genere, su come piccole frasi sentite o lette ci affascinano e ci lasciano avvinghiati a queste nuove stolide convinzioni, quando fino all’esatto momento prima eravam convinti del contrario. Ed è arrivata la cascata: devo a De Quincey e Dostoevskij la scelta di non voler fare ma solo godere della musica. Devo a un semisconosciuto saggista la mia particolare ossessione per l’oblio e la dimenticanza come antidoto alla gabbia sempre attiva e imbrigliante della memoria. Devo a William Burroghs la convinzione irrazionale che chi conosce le lingue straniere non possiede fino in fondo la propria, teoria condivisa in altri termini dal mio prof di economia aziendale Mazzeranghi, ma lui ne faceva più un discorso sul rapporto tra qualità e quantità. Devo al mio primo amore l’ironica maledizione secondo cui essere esperti e studiosi di letteratura ti nega la possibilità di essere scrittore…potrei andare avanti per ore ma mentre butto in un mucchio queste catene e questi pesi che ognuno di noi col tempo impara  a far saltare e a liberarsene come Houdini, prima o poi, è già passata una settimana ed è arrivato il lunedì pomeriggio e sto guardando la TV, e c’è Costanzo sulla Rai, devo ancora scegliere cosa scrivere e di fronte a Costanzo c’è Paolo Villaggio che comincia e racconta degli scrittori russi, di Moravia, di lui tra la folla e di Evtushenko che legge il foglietto e dice “Vigliacco” e che lo paragonano a Cechov e a Gogol, che dice che Fantozzi piaceva perché ricordava i burocrati russi. E allora ho pensato che questo autobiografismo, anche se pseudo, mi ricorda un po’ l’autocannibalismo, che non so bene cos’è, ma che centra con l’amore.

Altro compito, a dire il vero un po' lunghino, solitamente dovevamo stare nel foglio A4, per la Scuola di Scrittura Emiliana con Maestro Unico Paolo Nori. Io, fossi in voi, un pensierino sul frequentarla lo farei...

sabato 23 giugno 2012

Dizionario critico

Ho appena finito di leggere un racconto lungo di Lev Tolstoj, Due ussari, e ci ho trovato un mucchio di parole non proprio attuali, come caposcarico, subisso, raffi, passereto, l'uzzo, mucido, ratratti, fisciù, accerita, muglio, piancito, inframmettenze, reseda, anfanare, insoffribile e vagellando. Parole un po' impolverate, parole dimenticate, dal sapore un po' di mucido appunto, che ho riconosciuto, riscoperto nella memoria, cercato sul dizionario o capito dal contesto. Il binomio cerniere rotanti, invece, presente nella nota introduttiva di Italo Calvino, che si riferiva alla struttura e alla forma del racconto, non l'ho ricordato o capito dal contesto, ma ormai, avendolo letto prima del racconto, l'ho cercato in ogni capitolo e in tutta la storia chiedendomi se Calvino si riferisse a quel dialogo, o a quella descrizione, oppure a quell'intreccio, senza mai essere convinto di aver capito cosa volesse dire Calvino. Alla fine Il binomio cerniere rotanti l'ho trovato e l'ho pure visto, su un sito web per trattori. Così sono ancora più confuso. Spero che Tolstoj pretenda delle spiegazioni. In caso di duello, porterò le pistole.    

venerdì 22 giugno 2012

Sinistrismi: 3

Quando mi alzo alla mattina quello che per te è il piede giusto, per me è sempre quello sbagliato.

lunedì 18 giugno 2012

Back to School 4: Descrivi quello che vedi dalla finestra


Sono in ritardo, le dieci di domenica sera. Eppure avevo tutto in regola: la scrivania orientata verso la portafinestra, la portafinestra che da sul balcone e davanti il mondo. Il balcone è quello del secondo piano, anche se il primo piano è un semplice piano rialzato, quindi è meglio dire primo piano ammezzo. La scrivania punta il Nord, così come il letto, che secondo mia madre, che ha letto il feng-shui, fa molto bene. Io non lo so se fa bene, era l’unico modo per farci stare tutto in camera; così mi ritrovo con la scrivania che punta il Nord, anche se non so se è quello magnetico o geografico… devo ricordarmi di chiederlo a mia madre. Ma anche se mi siedo alla scrivania e con lo sguardo supero il metro che separa la scrivania dalla portafinestra e l’altro metro che separa la portafinestra dalla ringhiera del balcone, Pam! Mi scontro con gli alberi del giardino davanti casa. Sono due ma l’abete è in disparte, con i sui rami, lui, saluta la camera a fianco dei miei e li incita al buon risveglio. L’altro invece, il mio, non sono nemmeno sicuro se è un tiglio o un olmo. Una volta ho conosciuto un tipo di nome Olmo. Era simpatico, socievole, ma gli rugava moltisissmo dover ripetere il suo nome davanti alle facce sbigottite della gente. Il mio olmo-tiglio invece non mi sembra così affabile ed è talmente vicino da buttarmi le foglie oro e marrone sul balcone, e guardandole bene, adesso che è autunno, capisco benissimo cosa vuol dire brunito.


Questo compito lo dedico agli studenti sotto esame che sicuro stanno guardando spesso dalla finestra con diecimila nozioni e domande in testa. Qui nelle nostre zone ai primi del mese hanno deciso che i maturandi non avrebbero fatto il test scritto, solo l'orale. Quindi quando è uscita la notizia me li sono immaginati tutti all'aperto, in piazza, con gli umarell a braccia conserte dietro la schiena a dire che Nooo, Caporetto, insomma io c'ero, non è mica andata così, aspetta che ti spiego...




venerdì 15 giugno 2012

Sinistrismi: 2

Mentre tu quando prendi una biro e scrivi rivedi le parole che hai scritto prima e non vedi dove vai a finire, io, quando prendo la biro e scrivo, nascondo quel che ho scritto e guardo avanti verso il futuro sulla pagina bianca. Poi alla fine alzo la mano ed è tutto macchiato. Tocca diventare arabo, giapponese o ebreo.

lunedì 11 giugno 2012

Back to School 3: Mi ricordo


Mi ricordo di aver allagato casa, al terzo piano di un condominio, i muraglioni di neve contro i cancelli arancioni e beige e la matta che dalla casa bassa in fondo alla via gridava “P-pà! G-giù!” e rideva forte e felice mentre giocavamo.
Mi ricordo il primo bacio, a occhi chiusi: ho immaginato una balena bianca nuotare nell’immenso oceano buio.
Mi ricordo di aver difeso un amico dalla banda di ragazzi del quartiere mentre una vecchietta da una finestra con le tapparelle quasi abbassate gli intimava di lasciarci in pace; qualche anno prima, a causa di uno scherzo malriuscito, gli avevo rotto due denti con un pugno, a quel mio amico.
Mi ricordo gli occhi rossi di una grossa lepre, spintami incontro dal movimento di mio nonno, il suo stupore, il mio: eravamo alti uguali.
Mi ricordo la prima canna, ringraziavo tutti come a una premiazione.
Mi ricordo “Shining” alla Tv e tortellini alla panna alle tre di notte nella piccola casa buia di un’amica sola.
Mi ricordo la vecchia casa dei nonni, per anni è stata il modello base inconscio di tutte le case umili descritte da Dostoevskij.
Mi ricordo la fine del primo amore, le strade larghe e vuote di Parigi, lo smarrimento infinito e la vista inquietante del quartiere La Defence.
Mi ricordo i suoi morsi e le risate in un parchetto d’estate, saremmo potuti rimanere lì all’infinito…


Questo compito, eseguito sulla scorta degli esempi di Raymond Queneau e di Matteo B Bianchi, ha il pregio di farvi stupire dei vostri stessi ricordi, almeno a me è capitato. Da oggi le scuole sono ufficialmente chiuse (le nostre qui in zona da un po' prima). Intanto sto cominciando a far l'educatore in un campo estivo. Back to School again. 

sabato 9 giugno 2012

Sinistrismi: 1

Tutte le volte, non dico capita, non dico spesso, non dico quasi sempre, ma davvero tutte le dannate volte che chiedo un caffè, devo prendere il manico della tazzina e fargli fare un mezzo giro da destra a sinistra per riuscire a berlo.

giovedì 7 giugno 2012

Perché il coro è il personaggio


(la fotografia è sempre courtesy del prode Emiliano Zanichelli)



Fossoli è una frazione attaccata a Carpi e come nomi di strade si divide in mari, scrittori, alberi, patrioti e, ovviamente, tragedie.
Ora, in questi giorni, come nelle tragedie, Fossoli sembra appesa al secondo atto, quello in mezzo, quello dell'attesa.

Sì perché qui, a Fossoli, puoi vedere la frangia dell'onda, se una cosa del genere esiste. È una retta trasversale che passa sotto un bar, poi sotto il centro commerciale, giallo e massiccio, poi una casa con bottega a piano terra, e una banca, un condominio, una sfilza di villette a schiera nuove, e poi niente, perché Fossoli finisce, la retta invece no, non sappiamo ancora dove finisce.

Le persone che non lavorano, per scampare al sole forte che ci ricorda ancora che dobbiamo guardare anche in su,  vagano in cortile, si aggiornano sulla situazione dai vicini, osservano, s'incontrano per la via, chiacchierano su sedie di plastica all'ombra di piccoli alberi da frutto. Bambini e anziane cinguettano, senza mai alzare troppo la voce. Lo sguardo è preoccupato e fisso, anche se lampeggiano sempre dei sorrisi, forse un po' rassegnati. Le sedie sono disposte a semicerchio, ad anfiteatro, sempre in direzione della casa o della via.

Lungo le strade che, meno di una dozzina, compongono e racchiudono il piccolo centro abitato,  a parte la crepa sotterranea che taglia di traverso l'arteria principale che collega Carpi a Novi, non ci sono criteri, ragioni, rassicurazioni visive o certezze evidenti.
Edifici di tre piani, all'apparenza integri e compatti, sono circondati da un nastro sottile di plastica, bianco e rosso. È una striscia ballerina e svolazzante sotto il vento incerto, come avesse pudore di abbracciare troppo da vicino i mattoni e il cemento. Dietro una delle saracinesche un cane vecchiotto sbuffa un abbaio. Non è un allarme, non è un divieto, è una domanda stanca: c'è nessuno?

L'ex-campo di concentramento, muto, vuoto e scheletrito, è un reduce dai disastri, e come ogni veterano porta addosso i segni e mostra con livida precisione quel che è successo. Ad accoglierci in angolo c'è la prima casaccia con una lingua di mattoni e calcinacci che è scesa dalla parete fino ad arricciarsi in basso contro la rete metallica. È uno sberleffo, un gesto macabro. I casoni senza tetto, ormai abitati da alberi e arbusti, sparsi nel verde,  come uccelli sporchi si sono squassati di dosso la propria stessa natura di macerie, di temporaneo rifugio dall'orrore. Le finestre sono solo buchi, bocche nere smangiate di maschere spaventate. Bocche nere di tragedia greca.

C'è un libro pazzesco, horror, e un po’ surreale, di un autore che nei giorni delle scosse si trovava in Italia. Il libro si chiama La Notte del Drive-in. La storia è semplice quanto atroce: un gruppo di ragazzetti va al Drive-in, quel posto che abbiamo visto solo in America, dove guardi il film senza scendere dalla macchina. E allora, mentre i nostri eroi stanno cominciando a godersi lo spettacolo, dal cielo spunta un mostro che imprigiona tutti i presenti nell’arena e poi saltano fuori i soliti strani mostri che cercano di assoggettare e uccidere gli umani che non riescono a fuggire mentre sul telo del cinema, sullo schermo, continua ad andare a ciclo continuo La Notte dei Morti Viventi. Il libro l'ho letto tutto d'un fiato in una notte. Forse è inutile dirvi che i nostri eroi alla fine ce la faranno e che riusciranno a uscire dal terribile Drive-in, ma quel che vi lascerà un po' di stucco sarà che uscendo dalla bolla, dalla prigione incantata del Drive-In,  i ragazzi scopriranno che tutto il mondo fuori è cambiato, quasi alla stessa maniera.

Prendetela come una metafora, perché questa è, ma noi, che siamo dentro a questa cosa che è successa il 20 e il 29 maggio, e che continua a ripetersi, più o meno, abbiamo dentro, anche se ci muoviamo, pedaliamo, studiamo, leggiamo, fatichiamo, ridiamo, mangiamo, facciamo l'amore e tutte le altre belle cose, questo stupore qui, questo sgomento, quello dei ragazzi del Drive-in, quando pensano che è tutto finito e invece sembra che tutto deve ancora cominciare. Di nuovo.

Questo stupore lo trovate a Fossoli, lo trovate a Novi, lo trovate a Carpi, lo trovate in tutte le zone e i paesi colpiti più o meno ferocemente da questa tragedia.

Fossoli intanto attende, trattiene il respiro, un po' stupita, ma comunque si muove. Con discrezione, in silenzio, manda uomini, donne e ragazzi a salire sui tetti, senza imbracature, senza permessi, a montare sostegni, a valutare con martelli e metri, ad ammassare comignoli e macerie in cumuli così precisi, da farteli sembrare costruiti, montati apposta.  Fossoli vuol cambiare la storia, vuol cambiare copione, tramutare tutto in commedia, e sa che può riuscirci.  Fossoli è un coro, come tutti noi nelle nostre piccole cittadine, che canta una ninna nanna per addormentare i mostri, per lasciarli fuori dall'entrata.

lunedì 4 giugno 2012

Back To School 2: Ritratto di un familiare


Mio fratello ascolta i Meshuggah.
Mio fratello si chiama Matteo. Ha 20 anni, è altissimo, magro, col naso grosso, il pizzo e i capelli lunghi neri. Quando nell’Inter giocava Zlatan Ibrahimovic gli amici lo chiamavano Zlatan o Zibra, mescolando il soprannome del giocatore al nostro, di famiglia, Ziro.
Mio fratello ascolta i Children of Bodom.
Alla nascita pesava quattro chili e passa, io un po’ meno. Io sono uscito veramente incazzato, lui pacifico e sorridente. Ricordo ancora di aver lanciato caramelle per tutta la scuola quando mio padre è venuto a dirmelo.
Mio fratello ascolta i Cannibal Corpse.
Matteo ha 10 anni in meno di me. Io mi chiamo Luca e adesso ho 30 anni, mia madre mi ha avuto appena maggiorenne. Gli evangelisti sono quattro. Avrebbe potuto farcela. Ma per fortuna non siamo una famiglia così religiosa.
Da piccolo era  castano, biondiccio e sempre un po’ malaticcio per questioni respiratorie. Nascondeva ancora tutta la sua altezza e i suoi tratti erano meno marcati. Confrontando le foto non ci si raccapezza. Indossava sempre magliette a righe orizzontale e ricordava Calvin, il bambino pestifero di Calvin & Hobbes, il primo fumetto che gli ho regalato. Quando si sedeva sulla tazza del cesso io m’intrufolavo e gli chiedevo di raccontarmi la sua giornata, e allora lui spingeva e parlava.
Mio fratello ascolta i Rammstein.
Portava sempre con sé uno strano antistress, un asterisco di piccoli elastici legati insieme in un unico nodo con le estremità che escono fuori dritte dritte come gli aghi dei porcospini . Koush Koush si chiamava. Era la sua coperta di Linus. Non se ne separava mai.  Dito in bocca e Koush Koush artigliato nell’altra mano. Poi gli trovarono piccole forme di asma, che ancora oggi  colleghiamo a quell’arnese raccatta polvere. La lotta per distrarlo da quel gomitolo fu lunga ma non aspra. Il tempo era dalla nostra parte. In camera ha ancora due o tre esemplari che non tocca più da anni, un po’ come gli ex fumatori che custodiscono accendini e piccoli ricordi della vita precedente.
Mio fratello ascolta i Metallica, solo il black album però…
A causa di questo asma latente è sempre stato schivo e appartato, anche con le persone. Lo definirei un carattere umbratile, se potesse chiarire le idee. Grazie a questa inclinazione è un pantofolaio giustificato dalle alte sfere e ancora oggi ne porta il marchio. Mettiamola così: se può, lui, non esce, in generale, mica per pigrizia, è che proprio gli piace stare in casa. Ma è anche ospitale: invita sempre gli amici, però sono sempre nel numero esatto, lui compreso, di postazioni o joystick permessi dalla Playstation o dalla X-box.
Mio fratello ascolta i My Chemical Romance.
Immaginatevi alle superiori di nuovo, ragioneria, a Carpi sono in ottocento, o giù di lì. Un mare agitato di fronti e nuche con zainetti anonimi o firmati, sportivi o casual, vi saetta intorno in preda alle puzze adolescenziali. Un  mare in cui dovete sempre chinare il mento per parlare con chiunque, quando non ti devi abbassare con la schiena e le gambe. E tu sei un crestone di quasi due metre che indossa solo maglie con teschi, felpe nere, braghe con catenacci. Sembri uno scoglio nero. Ma laggiù vedi un’altra vetta, e non è un cartello che indica le varie aule. Si chiama Lisa, ha due anni meno di te, i capelli tinti, il viso affilato, le unghie rosse e nere, la voce roca senza fumare e adora il punk. Il resto è naturale.
Mio fratello ascolta i Paradise Lost, gli In Flames, i Dismember, i Caliban, gli Slayer e non ha ancora ucciso nessuno. Ascolta i Trivium, Dimmu Borgir, i Prodigy, i Sepultura, i Disturbed e non beve né fuma. Ascolta i Fear Factory, i Korn, gli Slipknot, i Turbonegro e sa benissimo che i testi di metà di questi gruppi ringhiano di amori non corrisposti e di abbandoni prematuri. Ascolta i Korn, i Testament, i Carnal Forge, i System of a Down e, anche se non mette mai le cuffie, più passa il tempo e più gli voglio bene.


Anche questo lunedì, anche se non c'è scuola qui da noi, o forse proprio perché non c'è, torno all'ora della ricreazione con i compiti da casa della Scuola di Scrittura Emiliana con maestro unico Paolo Nori. Buon Billy e Kinder brios.