giovedì 31 maggio 2012

ViaEmiliaDoc: All'ombra delle colonne


(le foto sono sempre courtesy Emiliano Zanichelli, anche la macchina che vedete, a dirla tutta)

I nomi sono importanti, si sa, e sopratutto qui in Emilia Romagna non sono mai davvero a caso.

Per farvi un esempio: l’ultimo paese della provincia di Parma che con un timido cartello accenna la sua presenza si chiama Rimale. Che uno può pure pensare che lì ci fanno delle rime su tutte le cose, facendole combaciare tra di loro (Rìmale) ma può pure pensare che lì, una volta entrato in quel paesino lì, perdi le chiavi di casa due volte, ti rubano il portafoglio due volte, rompi il cellulare due volte, litighi e fai a botte e ti steccano il polso due volte, e via così, sempre peggiorando (Rimàle). Quindi non è che ti viene proprio voglia di andarlo a vedere.

Invece il primo paese che da Parma ti viene incontro dalla provincia di Piacenza si chiama Alseno. Non ricordo più bene le definizioni matematiche di seno e coseno ma il nome, a noi facili mammiferi xy, ci è piaciuto e ci ha messo di buon umore. Alseno, tra le altre cose, ha un mercatino dell’usato e uno stabile gigante con un cartellone che non appena lo leggi ti fa ridere: CENTRO VENETO DEL LEGNO. Veneto, possiamo giurare. Ma lo sanno i veneti?

C’è poi da ricordare che il giorno che ci siamo mossi per questa esplorazione, quasi una settimana fa, era il 25 maggio, giorno dell’asciugamano in memoria di Douglas Adams, ve l’abbiamo già detto, e siamo finiti in una zona che, guarda le coincidenze, per insultare il prossimo, per dargli del pusillanime, dell’ignavo, come se una persona fosse materiale inerte, gli da del sugaman, cioè asciugamano (che non è questo sugaman,ma un po’ questi della casa editrice l’han scelto anche per quel significato lì).

Ora, la questione sull’etimo esatto dell’insulto è ancora controversa ma l’ipotesi più offensiva, e quindi forse più veritiera, è che, con un po’ di metonimia e forse per ferire senza trivialità, appellando uno come sugaman si voglia dire all’offeso che è figlio di uno di quegli asciugamani, magari collettivi, magari non proprio igienizzati, usati dalle prostitute nei bordelli prima della legge Merlin.

E finalmente siamo giunti a un argomento licenzioso anzichenò, eppure endemico e stereotipo della regione, che in modi palesi o nascosti, segretissimi o senza pudori, pulsa per tutta l’Emilia Romagna: il sesso. E la via Emilia ne è ovviamente attivissima portatrice sana ma spesso anche insana. Diversamente non sapremmo spiegarci, mentre ci fermiamo dentro il colonnato della foto ed Emiliano cerca d’incastonare le dimensioni di questo ingresso, davvero trionfale, il ritrovamento neppure troppo difficoltoso, a tre metri dalla strada, dei seguenti dvd:

- Clonazione
- Demoni
- Giovani sogni
- Ripulite la notte
- L’ora di punta
- Vecchie vacche mature
- I pionieri: video casalinghi integrali 2
- Campagnole porcellone + Doppia coppia 15
- Calde passerotte
- Pronte all’uso
- Erik Everhard’s Breast Meat 2
- Cronaca amatoriale vol. 3
- Il viaggio del c..o di Jeannies
- Big Ass Pool Party
- K.K.K. 2 - l’incesto
- Bad Habits vol. 2
- Donne nostrane golose di c…o
- Sesso e catene
- Casa Italia: sco…i con le tette
- Casa Italia: seni allucinanti

 Siamo così risaliti in macchina e ci siamo diretti verso il nostro paesino Alseno, forse vittima anch’esso di una crasi tra seni e allucinazioni, lungo una strada che mescola sogni e desideri e che nasconde il proibito all’ombra delle colonne.


Anche questo report fa parte del progetto di audiovisualvideo documentazione della Via Emilia. Il progetto è nuovo, giovane e aperto ai vostri contributi e/o suggerimenti. Ci trovate su ViaEmiliaDoc ma siamo anche su twitter, su facebook e tanti altri socialcosi che ancora non so usare né linkarvi, quindi cercateci, siamo in giro!

lunedì 28 maggio 2012

Back to school 1: La Lettera al Direttore


Caro Direttore di Rara Avis,
seguo ormai da anni le vostre pubblicazioni, seppure alquanto saltuarie e volatili.
Mi permetto dunque, confidando di trovare in voi un interlocutore acuto e solerte, di sottoporre alla sua attenzione un fenomeno endemico che sto riscontrando coi miei occhi, anche se temo, data la velocità di espansione e il numero dei casi, ormai già inarrestabile.
 Si potrebbe ipotizzare che sia tutta colpa di Mendel, coi sui bacelli, coi suoi piselli, i suoi geni lisci o ruvidi, ma in realtà tutto è cominciato da prima di lui e ormai è troppo tardi. Potrei quasi certamente dire: Après nous Le Déluge! 
I professori universitari, la nostra millantata upper class, persino il popolino demi-istruito dei laureati, vanno propalando in giro che stiamo assistendo a un imbarbarimento della civiltà, a una regressione sociale e dei rapporti tra persone, i quali non poggiano più sulle solide basi del rispetto delle istituzioni e delle differenze di classe, mentre accadimenti quali l’analfabetismo di ritorno e la violenza delle giovani generazioni sono da imputare alla globalizzazione e ai sistemi di comunicazione ed intrattenimento. Tuttavia essi si sbagliano, non colgono la causa scatenante, il coperchio del vaso di pandora, forse per le sue origini opache, mentre il sottoscritto, modestamente, sì.
Ma andiamo con ordine e partiamo dal principio:
Nel 1804 Napoleone Bonaparte promulga l’editto di Saint Cloud, nel quale si obbligano le città e per estensione tutti gli agglomerati urbani ad estromettere dai centri storici i cimiteri e i luoghi di sepoltura in genere. Non credo si tratti di un ironia del destino che un essere dal nome così ferino, un parvenu, sordido profittatore dell’uragano della ghigliottina, abbia promosso un’azione così contraria al genere umano. Infatti, seppur abbiamo favorito una maggiore igiene ci siamo esposti a un rischio geneticamente e biologicamente spaventoso. Monsieur Lavoisier, forse anche come sottile critica alle teorie giacobine del suo periodo, già da qualche anno prima dell’editto, sosteneva che “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Pertanto, mentre le spoglie dei nostri avi, distanti dai nostri affetti e dalle nostre dimore, lentamente, nell’arco di decadi, si fanno pulviscolo e fuoriescono dai sepolcri per disperdersi nel vasto mondo, i piccoli resti dei nostri adorabili animali da compagnia, collocati sotto appena trenta centimetri di terra nei nostri giardini padronali, sprovvisti di bara, indumenti e trattamenti estetici post-mortem, possono, nel volgere di pochi giorni (specialmente se piovosi) tornare a contatto con la superficie e ritornare così nel ciclo della vita, e più precisamente a contatto con gli ambienti frequentati dai nostri cari.
Questa riflessione, confesso, a prima vista orripilante, ha trovato in me sempre più conferme nonostante i dinieghi e le facili ironie dei frequentatori del salotto culturale della Contessa Alma Agazzotti Segugi. Ma ritengo che anche questo faccia parte del processo da me qui ipotizzato: essi infatti, nessuno escluso, sotto il brillante eloquio e la ricerca del sublime, dello Spleen, degli splendori dell’ancien regime, celano abilmente il desiderio impulsivo alla copula, che subitaneamente ci riconduce alla natura bestiale dell’uomo.
Proprio la casuale intuizione, qualche mese fa, di una fortissima somiglianza tra il pelo azzurrognolo presente a bella posa sulla gota destra di Ursula, figlioccia della Contessa Agazzotti Segugi, e il manto fulvo della compianta Armanda, gatta soriana prediletta dalla padrona di casa, mi fece balzare dalla chase lounge durante il tè. Nei giorni successivi non potei negarmi l’evidenza di un’uguaglianza così patente tra gli occhi glauchi e opachi del fu cocker spaniel dei Locustas e lo sguardo assente e sfuggente di Fitzwilliam, l’ultimo nato nel casato. E poi come tacere della lingua velenosa e biforcuta con cui il maggiordomo GianSergio accoglie gli ospiti in casa dei baroni Salamandrei o della risata sguaiata e rumorosa della Marchesina Patrizia Pamela Cammelli, che ricorda in modo così preciso i versi del Gorilla Cafiro, salvato una decina d’anni fa da un circo allo sbando tramite un’asta di beneficenza in collaborazione coi benemeriti Tapiros Club.
Caro Direttore, Lord Von Ovini Klausewitz, come comincerà a scorgere ben presto anche lei stesso, la tanto millantata degenerazione dei costumi e della società non avviene per fattori culturali ma per mera ricombinazione biologica. Stiamo ridiscendendo l’arco, stiamo tornando verso la scimmia, ma attraverso una modalità che nessuno poteva immaginare. Il processo procede con lenta ma inesorabile avanzamento geometrico insinuandosi nel processo  generativo in un punto dove noi non possiamo intervenire e il diretto coinvolgimento dei nostri discendenti ci rende impossibile o difficoltoso una scelta eugenetica (così cara a noi aristocratici) in grado di ripristinare l’ordine e la purezza.
I miei stessi nipotini Bruno e Stella De Pooh, che sto attualmente ospitando per le vacanze estive, sono cresciuti nei pressi di uno zoo di Berlino ed ora procedono forsennatamente a quattro zampe alla ricerca di miele o dolciumi vari e si ergono sulle zampe posteriori solo nei momenti di lotta. Considerando che l’unico atteggiamento conservativo contro i plantigradi è quello di stare sdraiati immobili, da sotto la mia scrivania, ho cominciato ed ora concludo questa lettera nella speranza di un suo valido aiuto.
Resto pertanto qui, immobile, in attesa di un suo bramito, ehm, volevo dire, cenno di risposta e le porgo
Cordiali Saluti

Ser Manlio Pucci, Conte di Whiskas




Questo è solo il primo di una serie di compiti svolti negli anni scorsi mentre frequentavo i corsi della Scuola Elementare di Scrittura Emiliana con Maestro Unico Paolo Nori. Ogni lunedì, in suffragio alle mattine che tutti noi abbiamo sacrificato al sonno o al vagabondaggio per andare a scuola, pubblicherò qualcosa: Back To School. 

sabato 26 maggio 2012

Il caffè alla fine della via Emilia



Se vi capitasse un giorno di sole e vento caldo, che forse è solo un giorno d’estate che ha sbagliato data, di partire e di decidere di andare fino a Piacenza lungo la via Emilia [SS9], guardate bene i cartelli e scegliete la direzione giusta.
Confondersi in queste cose è un attimo e sotto il nome di Via Emilia i vari comuni e i vari paesi che sono nati lungo la via, forse per un delirante e rarissimo caso di autodeterminazione toponomastica, si sono divertiti a chiamare la Via Emilia in svariati modi, tutti evocativi. Vi può dunque capitare di viaggiare e leggere i cartelli Via Francesco Bacone e Via Federico Garcia Lorca rispettivamente uno da un lato e uno dall’altro della strada. Potreste ritrovarvi smarriti nei Via Emilia Ovest o Est di non sai più che paese e quindi più a Est di chi o più a Ovest di cosa, ma una volta che avete scelto la direzione, non cambiate rotta. Anche perché di meraviglie, di ruderi, di storture e stranezze, ecomostri e bar sport, ne siam certi, ne vedrete, in entrambe le direzioni, non starò qui a dilungarmi.
Ma un piccolo quesito io e il mio compagno di viaggio Emiliano (nomen omen) Zanichelli (al quale si deve questa e altre foto di queste scorribande sulla SS9) ce lo siamo  posto sulla campagna fidentina. Che è un quesito centrale in questi tempi di crisi. La domanda è: o noi non abbiamo capito niente della legge economica di domanda e offerta oppure non l’han capita bene questi qua che a 500 metri di distanza da due centri commerciali per negozi e uffici, queste strutture alte, ampie, anche ariose mi pare si dice, in vetro e cemento armato, che sono vuoti e sfitti, questi qua si mettono a costruirne un’altro ancora più grande e grosso. Le leggi della concorrenza forse, qui su questa via, non esistono. Forse chi viaggia su questa arteria galattica non confronta e non valuta, non punta al risparmio, protetto dal suo asciugamano.
Poi scoprirete o se avete già avuto modo di vagare per la nostra adorata regione, potete già immaginarlo: questa linea retta quasi infinita, questa sempiterna striscia a doppio scorrimento, finisce in una rotonda. La rotonda è quella cosa che toglie i semafori e vi fa fare un giro in tondo con la speranza di uscirne in una qualsiasi delle sue direzioni, purché, appunto, fuori dalla rotonda. Quando l’hanno esportata ci dicevano che la pagava l’Europa, ma ve lo spiegheremo meglio un’altra volta. Dicevo, al centro della rotonda c’è un monumento. Non vi mettiamo la foto, solo vi diamo un indizio: si chiama Piazzale Roma. Quando lo vedrete capirete di essere arrivati. Garantiamo anche per voi.
Il caffè alla fine della via Emilia si chiama Bar Roma ed è gestito da una ragazza e un ragazzo albanesi (ecco spiegata la foto). A bancone, in angolo, trovate un vassoio di uova sode una saliera. Tacito segnale che chi sta cercando un prosecchino con salatini per aperitivo, se lo può scordare, qui si pasteggia con la rakija. S., la ragazza alla macchinetta, passa con estrema facilità, senza quasi pensarci, dall’italiano all’abanese e viceversa. Alla nostra richiesta di conferma ci dice che questa non è la via Emilia, è Via Cristoforo Colombo (ennesimo travestimento della SS9). Ringraziamo e usciamo.
Fuori, nel piazzale sotto il sole, per un attimo, potreste chiedervi anche voi, come il genovese, se una volta arrivati a Rimini avrete fatto il giro del mondo.

Questo e altri post sul tema che ci auguriamo vi piaceranno fanno parte di un progetto collettivo sulla via emilia, che si chiama viaemiliadoc,  che è a caccia di fotografie, scritti, video, testimonianze su quest'incredibile strada e sul territorio che attraversa.  Per maggiori informazioni:

mercoledì 23 maggio 2012

Di là

Dopo aver passato la settimana scorsa a ristrutturare e imbiancare il bagno.
Dopo aver pulito in questi giorni dalla polvere che ha invaso tutte le altre stanze.
Dopo aver aiutato la signora che abbiamo chiamato come specialista per intervenire di fino su tapparelle, tappeti, porte a vetri, fughe tra le piastrelle.
(Si vede che al momento sono disoccupato, eh?)
Dopo aver infine contribuito al momento da quiz in cui la signora, smontando e riassemblando il vaporetto come un provetto marine, mi chiedeva, somministrandomi un manuale trilingue d'istruzioni in bianco e nero con figure ai profani tutte uguali, quale spazzola fosse più indicata per il nostro tappeto in sala?..., 3, 2,1, Non lo so. Tempo scaduto.
Finalmente una pedalata a prendere un po' d'aria e a fare la spesa.
Di ritorno, ormai sta calando il sole, scopri che nel piazzale del quartiere dove vivi, che non è Correggio, dista quattro minuti di bici dal portone del municipio ma chi abita qui da una vita, per dire che va in centro non dice Veh! vado in centro, no, dice Veh! vado a Correggio... comunque, nel piazzale del quartiere, che non è Correggio, trovi assembramenti sospetti di gente varia, pensi alla politica, pensi a un raduno di appassionati di moto, di vespe, di R4, di  trattori. Arrivi persino a pensare, Ecco, adesso si dispongono per bene, tutti a distanze variabili ma equidistanti tra di loro, e cominciano tutti a fare Tai Chi.
Per fortuna non succede.
Succede di meglio.
Molti si mettono intorno a far da spettatori, gli altri si dividono in due parti, poi tirano fuori una fune da traghetto e cominciano a tirarla di qua e di là e a fare dei versi, che pensi subito Sono proprio fortunato a vivere in un quartiere che c'ha questi appassionati tra i suoi abitanti.
Tra il municipio e casa, per un paio di chilometri credo, c'è il parco comunale, verde, bello, pulito, alberato, collinato, con sentieri in mattone e lapidi alla memoria, magari un'altra volta ve lo racconto meglio.
Per dove passo, che non vengo dal parco, c'è una strada abbastanza trafficata che da un lato costeggia il parco, dall'altro un'area residenziale.
Tra il parco e la strada c'è una simil pista ciclabile, una di quelle cose senza colori o cartelli, una striscia di asfalto tra il verde acceso tipico da parco e il verde tipico da aiuola spartitraffico che, essendoci subito la strada, è un verde molto smorto. Mi son sempre chiesto chi fa queste asfaltate qua. Son gli stessi che fanno la strada? Passa di lì un ciclista e gli urla Oh! finché ci siete, date un bel colpo anche qua? e loro Va bene, adesso vediamo quanta ce ne avanza! Oppure è gente decisa e organizzata che lo fa solo di notte? che prepara il bitume e il catrame silenziosamente e poi colpisce rapida e furtiva facendosi schermo con un po' di macchine con le frecce, magari fingono pure una festa oppure un mega tamponamento con tanto di finte litigate, a basso volume per non svegliare davvero i vicini, tanto alle 4 di notte non c'è molta gente che passa e quella poca che passa si ritrova davanti ai finestrini delle facce stirate e strabuzzanti che però non emettono suoni. Se è vero, oltre che a imparare come fare l'asfalto dovran fare dei corsi anche per questi playback, che non mi sembrano facili.
Ma torniamo a noi.
Ora, sei lì, su quella striscia di catrame, che c'ha già tutte le crepe delle radici degli alberi (Dopotutto, non han mica fatto un bel lavoro quegli asfaltatori notturni...) tutto teso perché hai voluto fare l'ecologico, con la bici del nonno della morosa, che ha il manubrio stretto e le tue sporte di tela, portate da casa, sempre più ecologico ma sempre più rischio catapulta coi raggi della ruota  e voltare è già quasi far testamento, perché il manubrio e le sporte in conseguenza captano la direzione del tuo sguardo, neanche lo sforzo dei muscoli o l'intenzione dei nervi, basta un occhiata e virano verso il bersaglio.
E mentre sei lì, a chiederti che bel mese è maggio anche se piove e al contempo ti chiedi quale sporta salvare in caso di sciagura, ciliegie e uova o birre e mozzarelle di bufala, oppure da usare come airbag nel caso cadessi in strada mentre gli onnipresenti suv del paesino sfrecciano come se andassero ad acqua del rubinetto e non a benzina, nel verde del lato spartitraffico qualche metro più avanti vedi tre oche, no sono a macchie, sono tre anitre selvatiche, immobili. Nonostante il traballamento bici+spesa+crepe, azzardi uno sguardo a giro mentre le sorpassi: sì son proprio anatre e stanno dormendo, a mezzo metro dai rombi dei suddetti suv. E mentre ti chiedi come fanno ad essere arrivate fin lì e perché hanno scelto proprio lì, quella zona lì, come posto sicuro per dormire, alzi lo sguardo e oltre le macchine che han sempre fretta di arrivare a due minuti da lì, oltre la strada, ne scorgi altre cinque o sei di anatre, che però sono in movimento queste, disposte come lo sono in volo, come gli squadroni. E ti chiedi come fanno, a essere già di là.

lunedì 21 maggio 2012

Gong

Sabato notte o domenica mattina, come tanti, non come tutti credo, alle 4:05 stavo dormendo.
Da solo.
Come tanti, devo aver perso l'inizio della scossa.
Sono balzato in piedi, aspettando che la scossa si fermasse un attimo prima di riprendere, perché nella mia testa, sì, nella mia testa anche i terremoti prendono fiato. E invece no.
Sono rimasto lì, tra il letto e la finestra, in attesa di questa pausa e intanto facendo attenzione a tutti i rumori della casa. No rovesciamenti. No crolli. No scatafascio. Niente fine del mondo.
Solo una piccola eco, flebile ma chiara, impalpabile, che si allargava a cerchi.
In  sala da pranzo abbiamo due lampadari di cristallo a forma di cono.
Li avevamo distanziati quaranta centimetri precisi.
Il suono proveniva dal loro tocco.
Come un gong per cominciare.
Come un brindisi.
Buon compleanno Amore.